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Rottweiler (di nuovo) sotto accusa

Lo scorso 10 febbraio un trentanovenne è stato aggredito e ucciso da tre Rottweiler durante una passeggiata nel Bosco Macchia Grande di Manziana, nei pressi del Lago di Bracciano. Come spesso succede, dopo l’iniziale clamore la vicenda è stata archiviata dai media senza ulteriori approfondimenti. Poco più di un anno fa in provincia di Modena era successa una tragedia analoga e Diana Lanciotti se ne era occupata sul numero 79 di Amici di Paco. Ora, sul numero 82 della rivista in uscita, la fondatrice del Fondo Amici di Paco torna a parlare di aggressioni canine sottolineando la necessità di una cultura cinofila come requisito fondamentale per una convivenza serena con i nostri quattrozampe.

Il 10 febbraio Paolo Pasqualini, 39 anni, passeggiava nel bosco vicino al Lago di Bracciano quando tre Rottweiler liberi e senza conducente l’hanno aggredito e ucciso.
Chi sa quanto amo gli animali può immaginare lo strazio che provo a dare una notizia del genere, dovendo ammettere che tre rappresentanti della categoria vivente che difendo da sempre sono… degli assassini. Però chi mi conosce sa che amo anche gli esseri umani e non ho mai stilato una classifica dei sentimenti mettendo al primo posto gli uni o gli altri.
Il dolore e la rabbia sono fortissimi, strettamente concatenati. Ed è il motivo per cui, di fronte a casi così orrendi, cerco di prendere fiato e di non buttarmi subito sulla notizia con l’ingordigia tipica di certi giornalisti che si buttano famelici sulle tragedie, le spolpano in quattro e quattr’otto per cibarsi subito dopo di altre tragedie. E più sono succulente e meglio è.
Ho aspettato, ho lasciato placare la rabbia che mi avrebbe fatto urlare (anche se scritte) parole pesanti. Ma il dolore c’è ancora, e c’è anche il senso di impotenza che cerco di superare scrivendo, ora, a distanza di un paio di settimane nella speranza di far riflettere chi ne è poco avvezzo.
Ma prima, insieme, proviamo a immaginarci, anche solo un attimo, che cosa voglia dire essere dilaniati dal morso potentissimo di un cane, sentire la propria carne che si lacera, le vene che scoppiano, il sangue che corre e scorre fuori da noi, sopra e intorno a noi.
Ci riusciamo? Forse no, e spero che nessuno di noi debba mai provarlo.
Ma almeno uno sforzo d’immaginazione dovrebbero farlo i vari “esperti” chiamati nei talk show televisivi dove si parla delle tragedie, come questa, con la leggerezza con cui si parla del divorzio tra Ilary e Totti o tra Ferragni e Fedez. Uno sforzo dovrebbero farlo, sia quelli che con la bava alla bocca sentenziano che i cani “feroci” devono essere “abbattuti”, sia quelli che, con la bocca a culo di gallina per sembrare più eleganti, dicono che “abbattere”un cane che ha aggredito e ucciso non è “educativo” (anche se non è chiaro per chi).
Uh… ho detto “culo”, scusate. Ma sono davvero arrabbiata. Ancora, anche dopo due settimane, mentre credevo che la rabbia si fosse affievolita.
Ma come si fa? Come si fa a ridurre la questione al solito tifo da stadio?
“A morte il cane”… “Viva il cane”…
Ammazza se da quei dibattiti, tutti uguali e stereotipati, esce mai una soluzione di buon senso, concreta, applicabile. Solo chiacchiere, le solite chiacchiere da salotto dove si finge di scontrarsi a muso duro e poi a riflettori spenti magari si organizza una pizzata insieme, col conduttore di turno che gongola per essere riuscito ad attizzare la rissa anche stavolta, nella speranza di rosicchiare un decimillesimo di audience al talk show che va in contemporanea sull’altra rete. E dove probabilmente si parla dello stesso argomento, con la stessa leggerezza.
Di aggressioni mortali di cani abbiamo parlato qua, su Amici di Paco, pochi mesi fa, dopo che in provincia di Modena due Rottweiler avevano aggredito la loro padrona causandone la morte. Non si sa com’è andata, che fine abbiano fatto quei due cani e poco o nulla è stato fatto perché queste tragedie non si ripetano.
Come dicevo allora, ogni volta che capitano queste disgrazie il raziocinio va a farsi benedire e nascono, abilmente alimentati dai suddetti giornalisti in cerca di audience, dibattiti furibondi, basati su prese di posizione prive del minimo barlume di cultura cinofila, condotti con la nota partigianeria che vede gli esseri umani azzuffarsi per qualunque questione anziché imbastire un confronto costruttivo.
Come già in passato sono soprattutto gli allevatori e i proprietari di alcune razze, preoccupati per l’ondata di paura che di solito si alza in queste circostanze, a chiedermi un parere e di portare un po’ di raziocinio. Li ringrazio per la fiducia, ma credo che dovrebbero essere loro per primi a comportarsi con raziocinio.
Gli allevatori, ad esempio, evitando di far riprodurre linee di sangue che abbiano caratteri evidenti di aggressività e di vendere i propri cani a persone che non sono in grado di garantire una corretta gestione di razze che, diciamo le cose come stanno, in mani sbagliate possono diventare delle vere e proprie armi.
I proprietari, dal canto loro, dovrebbero esercitare il loro raziocinio scegliendo cani di una determinata razza solo in base alla propria competenza, alla propria capacità di gestirli. In base, insomma, alla propria cultura cinofila.
E anche gli educatori dovrebbero concorrere a prevenire certe tragedie evitando di illudere i proprietari di un Rottweiler, o di un Pitbull, o di un Amstaff, o di un Dogo Argentino, che con i premietti e i cuoricini negli occhi si possa farli diventare dei teneri peluche da spupazzare e portare in giro o, peggio, lasciar liberi senza nessun controllo.
Anche i proprietari dei tre Rottweiler lasciati liberi nel bosco pare abbiano rilasciato la solita dichiarazione di circostanza: «Ma sono sempre stati buoni, giocavano con i bambini, non hanno mai fatto male a nessuno.» Eggià, tre agnellini che diventano di colpo dei leoni. Impazziti tutti e tre insieme?

E poi ci sono i social, che giocano (non a caso uso la parola giocare) un ruolo rilevante nel grande equivoco che si è venuto a creare intorno alla “non pericolosità” di certe razze. Social che dipingono una realtà edulcorata, e pullulano di immagini e video in cui i Pitbull e via discorrendo sono presentati come cagnolini teneri e dolci, gran giocherelloni, dei patatoni da strapazzare di coccole. Ed è così, ne sono sicura: con i loro padroni sono davvero cani favolosi e coccolosi. Ma una volta messi di fronte a situazioni impreviste siamo davvero così sicuri che manterrebbero il loro atteggiamento giocoso?
Pochi giorni fa, su Instagram, ho visto il video di un ragazzo, con migliaia di follower, che si autofilmava accanto al suo Pitbull commentando la tragedia dell’uomo sbranato dai tre Rottweiler di Manziana. Rivolgendosi al suo cane, ironizzava sul fatto che qualcuno li abbia definiti “aggressivi” e aggiungeva: «Quante volte tu eri giù in cortile, c’era il cancello aperto, passavano i ciclisti… però non hai mai sbranato nessuno, eh, perché il papi ti ha dato un’ottima educazione, che le persone non si mangiano ma… si mangiano solo i croccantini.»
Sono sicurissima che il simpaticissimo Pitbull del video sia un cane docile, socievole, un bigné… ma, come ho commentato sotto il video:
“Cortile… cancello aperto… passavano i ciclisti…”: mi permetto di dire che oltre all’educazione serve anche la prevenzione.
Servirebbe anche se si trattasse di un Chihuahua, e invece di vantarsi della sua innocuità sarebbe più prudente adottare ogni misura per impedirgli di seguire eventuali stimoli che potrebbero distrarlo anche solo un attimo dalla sua “ottima educazione” e… indurlo in tentazione.
Significa che dobbiamo avere paura dei cani, dei nostri cani? No, no e no! Dobbiamo avere paura dei padroni: padroni scriteriati, irresponsabili, incompetenti, superficiali, presuntuosi, distratti, pasticcioni. È colpa loro se un Rottweiler un bel giorno fa comunella con altri due Rottweiler, compagni di prigionia e isolamento dal mondo, e si infila attraverso il varco di un cancello sbilenco e tenuto chiuso con una catena allentata. Ed è colpa loro, per non aver saputo custodirli, per non aver saputo prevenire, per aver tenuto liberi ma nello stesso tempo reclusi in un cortile tre Rottweiler (ma perché, poi proprio tre Rottweiler? Quali sono le motivazioni che li hanno portati ad avere in casa tre cani di una razza non proprio alla portata di tutti, sia in termini economici che di gestione?) che è successa una tragedia. Senza dimenticare che, soprattutto nel caso di tre cani maschi, non va mai sottovalutata la propensione a fare branco o, in taluni casi, a competere per imporre la propria supremazia l’uno sull’altro.
Inutile che dicano “È un caso raro”. Raro, però è successo. E basta una volta. Ed è inutile che i soliti animalisti, a causa dei quali mi arrabbio quando mi definiscono animalista, dicano che non esistono cani pericolosi. In realtà tutti i cani, come del resto gli esseri umani, nel loro piccolo o nel loro grande possono essere pericolosi, ma non di certo per colpa loro. Perché, come recita il titolo di un mio libro, “i cani non hanno colpe”. Le colpe sono sempre e solo dei padroni che non li sanno educare, non li sanno custodire, e non riconoscono quella che io chiamo caninità, cioè la condizione naturale, innegabile e incoercibile di cani. Cani che vorremmo ridurre a giocattoli, peluche, schiavetti, robot, e quando fanno i cani e sfuggono ai cliché in cui li abbiamo ingabbiati ci meravigliamo, andiamo in confusione, non sappiamo cosa fare.
Per tanto che li abbiamo educati, socializzati (anche se temo che i tre Rottweiler di Manziana non fossero sufficientemente educati né socializzati) sono pur sempre cani con un morso micidiale e un’indole di fondo che non è propriamente quella di un agnellino. Un’indole che si può incanalare, con una giusta educazione e una corretta gestione. Però non va mai ignorato che quei cani lì, se pensano che qualcosa va affrontato e risolto a modo loro, cioè con un bel morso che neutralizzi l’ipotetico nemico, non stanno lì a contare fino a dieci. Ma forse neanche fino a cinque…
Immagino, adesso, i proprietari di Rottweiler & c. che mi leggono: saranno indignati e faranno partire l’email per chiedere di non ricevere più la rivista. Si sentiranno offesi, traditi, da una che ha sempre difeso i cani e si è sempre opposta alle liste di proscrizione, come quella (ricordate?) stilata nel 2003 dall’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia e poi ritirata in seguito alle proteste di associazioni animaliste (anche noi del Fondo Amici di Paco ci facemmo sentire), veterinari, educatori.
Cari signori, calmi, io non l’ho con voi né tantomeno con i vostri cani, ma dovete essere voi, col buon esempio, a sconfessare e isolare chi fa un cattivo servizio a certe razze e, alla fin fine, a tutti i cani.
C’è il rischio che, a forza di queste tragedie, sull’onda dell’emotività o su pressione dell’opinione pubblica si torni indietro. Anzi, vi dirò una cosa che vi sorprenderà: sarò io la prima, qualora dovessero succedere di nuovo tragedie del genere, a invocare un giro di vite e a pretendere che chi detiene cani di certe razze, proprio come chi detiene un’arma, sia tenuto a conseguire un porto d’armi… canino. Non dico, come invece qualcuno chiede, che i cani di certe razze siano da sopprimere, ma dico che dobbiamo dare un deciso stop alla diffusione e alla commercializzazione delle stesse, rendendone più difficile il possesso, in modo che non finiscano in mano a chi, purtroppo, potrebbe farne “cattivo uso”.
Purtroppo alla presenza sempre più diffusa di cani nelle case degli Italiani non corrisponde un’altrettanto diffusa cultura cinofila. Nella società odierna, in cui giustamente i cani non sono più relegati a compiti di lavoro nei campi e nelle fattorie, i requisiti a cui devono corrispondere sono l’equilibrio, la socievolezza, la capacità di affrontare ogni situazione con calma e sicurezza, senza aggressività. E compito di un buon proprietario è educarli ed essere capace di precludere qualunque comportamento che metta a rischio l’incolumità degli altri (uomini e animali).
I cani non sono giocattoli. Quante volte l’abbiamo detto in prossimità del Natale con la nostra campagna che scoraggia le adozioni o gli acquisti inconsapevoli di cani? Ecco, non vale solo per Natale: i cani NON sono MAI giocattoli e da loro non possiamo pretendere né aspettarci comportamenti estranei a quella che io chiamo la loro “caninità”, quel corredo di istinti, genetica, esperienze, acquisite o ereditate. Accettare la caninità, esserne consci, significa essere in grado di prevedere eventuali comportamenti sgraditi o pericolosi, perché nel momento in cui ammettiamo che sono possibili siamo in grado di prevenirli e neutralizzarne le conseguenze.
Sul fatto che i cani non abbiano colpe quando un loro comportamento è in contrasto con le nostre regole e le nostre aspettative ho, come accennavo prima, scritto il libro I cani non hanno colpe. E, prima ancora, L’esperta dei cani in collaborazione con Demis Benedettti, il fondatore della scuola cinofila New Thought. In copertina della seconda edizione ho voluto un cucciolo di Rottweiler dall’espressione irresistibile come hanno tutti i cuccioli di Rottweiler, quella da cui a volte chi sceglie un cucciolo di Rottweiler si lascia fuorviare, senza pensare al cane volitivo e impegnativo che diventerà da grande.
Non mi stancherò mai di ripetere che l’educazione cinofila e la conoscenza del mondo animale in genere andrebbero insegnate a scuola. Per fortuna molti insegnanti sono sensibili a queste tematiche e autonomamente le portano in classe pur essendoci, almeno finora, il totale disinteresse da parte della politica. In tanti, da quando è uscito 27 anni fa, hanno adottato Paco, il Re della strada come testo di narrativa apprezzandolo per i contenuti educativi e perché, come loro stessi mi dicono, raccontando una storia che ai ragazzi piace li fa riflettere sul nostro ruolo e sulle nostre responsabilità nei confronti degli animali.
Dobbiamo puntare sempre di più su una cultura cinofila che parta dalle scuole, che prepari e responsabilizzi gli adulti di domani. Non è un vezzo da animalisti perditempo ma una reale necessità dovuta al fatto che oggigiorno i cani sono bene o male costretti a una vita “innaturale”, piena di vincoli, paletti, costrizioni, restrizioni. E spetta a noi aiutarli a districarsi in questo labirinto di regole così lontano dalla loro vera natura. E impedire che, per colpa nostra, commettano degli sbagli.

Diana Lanciotti – articolo tratto da “Amici di Paco” n° 82

 

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