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Emergenza cinghiali? Non trattiamoli da cani

 

La presenza sempre più diffusa di cinghiali nei centri abitati sta assumendo livelli preoccupanti. Ce ne parla la fondatrice del Fondo Amici di Paco, associazione nazionale per la tutela degli animali, con l’abituale approccio equilibrato e lontano da qualunque fanatismo animalista o antianimalista. E con la campagna “Non trattateci da cani” suggerisce i comportamenti più consoni da osservare, per la loro e la nostra sicurezza, al cospetto di animali che sono e restano selvatici.

Tra le tante emergenze che attanagliano la nostra amata Italia, alcune gonfiate mediaticamente e politicamente come quella degli orsi del Trentino, che alla fine non è una vera emergenza ma solo la sconfitta del buon senso, ogni tanto torna ad affacciarsi l’emergenza cinghiali.
Che si tratti di un problema è innegabile. Che ormai non riguarda più solo l’agricoltura, e che finché era relegato ai campi non ci colpiva più di tanto, ma coinvolge i centri abitati e quindi territori densamente popolati. Con pesanti ripercussioni nell’ambito sanitario e della sicurezza.
Da varie zone d’Italia (mi riferisco alle città) sento raccontare aneddoti relativi a incontri con i cinghiali. Persino nel tanto decantato Parco Nazionale d’Abruzzo, mi segnalano, la situazione non è così rosea come ci raccontano: l’aumento incontrollato di cinghiali li ha portati a salire in quota, dove hanno “stanato” orsi e lupi che, privati delle risorse per sopravvivere, le vanno a cercare in bassa quota avvicinandosi (addirittura intrufolandosi) alle case.
Nella zona dove abito, in Sardegna, i cinghiali si sono moltiplicati negli ultimi anni in modo impressionante. Te li ritrovi dappertutto, ti vengono incontro, ti attorniano, si affacciano alla porta di casa. Dei cani non hanno paura. Dell’uomo men che meno, perché ormai associano l’uomo al cibo. Non nel senso che lo considerano buono da mangiare, ma dispensatore di cibo. Di me hanno paura, perché invece di allungargli un boccone come purtroppo fanno in tanti, inteneriti da quei musetti a fetta di salame, gli faccio un urlo, batto le mani, i piedi e, se non basta, li inseguo per qualche metro facendo dei versacci che, se qualcuno mi vedesse o sentisse, mi prenderebbe per matta. Anch’io un tempo mi intenerivo davanti a quei musetti e confesso che le prime volte che venivo in Sardegna (parliamo di oltre 30 anni fa) qualche pezzetto di pane gliel’ho allungato. Sono così carini… e quando ti fissano con quegli occhioni languidi e fanno roteare le codine avviticciate è difficile non considerarli dei cagnolini.
Ma… i cinghiali non sono cani. L’ho imparato quasi subito, vedendo come questa loro “socievolezza” verso noi umani li metta in pericolo (qualcuno li attira per poi ucciderli e servirli in tavola) e metta in pericolo noi e i nostri cani. Soprattutto quando hanno i cuccioli, le mamme cinghiale vanno in protezione e diventano più aggressive.

Nessun dubbio sul fatto che io voglia difenderli da chi vuole sterminarli per eliminare il problema: basta leggere uno dei primi capitoli de La vendetta dei broccoli in cui descrivo la caccia al cinghiale per capire come la penso. Però che siano diventati troppi è una verità ormai inconfutabile.
Come scrivevo l’anno scorso (v. https://www.dianalanciotti.it/emergenza-cinghiali-a-costa-paradiso/)

pur amando gli animali e difendendoli, non condivido l’atteggiamento di taluni “animalisti” che antepongono i diritti degli animali a quelli degli esseri umani. Non c’è nulla da anteporre o posporre, ma c’è da prendere atto con realismo che, in veste di garanti e responsabili del Creato, siamo tenuti, sì, a tutelare gli animali ma dobbiamo tutelare anche noi stessi, in quanto parte dello stesso Creato.
 Non è questione di ammazzare degli esseri viventi, ma neppure di accettare di vivere con la guardia sempre alzata.
 Esistono soluzioni non cruente, come il prelievo e lo spostamento in zone lontane dai centri abitati e la sterilizzazione chimica. Non sta a me indicarle, perché di certo gli esperti ne sono a conoscenza. Ci vuole solo la volontà di risolvere un problema che, se affrontato quattro anni fa, forse adesso non sarebbe ancora qua a intrattenerci. Oltretutto, se non si prendono provvedimenti, arriverà qualcuno che penserà di sostituirsi agli enti preposti e… farsi giustizia da solo. E sappiamo bene che cosa significa (…)
La rassicurazione circa la non pericolosità dei cinghiali, vera in linea di principio e in un contesto naturale, mostra il suo lato debole alla prova dei fatti, in una situazione che di naturale ha ben poco: dove cioè c’è un insediamento umano importante, dove non ci sono in parte o del tutto le recinzioni, e dove purtroppo molti non hanno ancora capito che il cinghiale è bello e bravo ma va trattato da animale selvatico, senza illudersi di poterne fare un cagnolino docile a cui dar da mangiare tutti i giorni come si fa con i nostri Fuffy e Romeo.

Anni fa partecipai a una riunione con amministratori locali, cacciatori e un funzionario del Servizio faunistico della Provincia di Olbia-Tempio il quale, alle rimostranze del sindaco che parlò di “estirpare” i cinghiali, rispose che siamo noi che abitiamo in casa dei cinghiali, che loro sono qua da prima di noi, quindi dobbiamo rispettarli. Tutto giusto salvo che… i cinghiali siano qua da prima di noi.
Dove vivo, i cinghiali non c’erano. C’erano solo le capre, che brucavano i cespugli cresciuti in mezzo alle rocce. I cinghiali vennero portati a fine anni ’60 dal lottizzatore, per fare un po’ di “colore” e attirare i turisti. Così rinchiusero alcuni cinghiali in un recinto e tutti si divertivano a portargli da mangiare. Allora vedere un cinghiale era molto raro e per chi veniva dalla città poterlo avvicinare aveva il sapore di un tuffo nella natura selvaggia. Dopo qualche tempo, ormai avvezzi all’uomo, i cinghiali furono liberati e iniziarono a popolare il territorio. Ma non è finita: per accontentare i cacciatori furono importati dalla Toscana esemplari di cinghiali maremmani, molto più grossi, prolifici e coraggiosi del timido e più piccolo cinghiale sardo.
Da lì in poi la situazione è sfuggita al controllo: anziché una cucciolata di 3-4 cinghialini, i nuovi cinghiali, ibridati con i maremmani, ora sfornano due cucciolate l’anno di 6-8 se non 10 cuccioli. Te li vedi attraversare la strada in fila indiana e resti incantato a osservare questi robini grandi come un gattino correre frenetici dietro mamma cinghiala… finché non ti ricordi che quei graziosi cuccioletti poi diventano bestioni e per tanto che qualcuno li consideri o li tratti come animali domestici sono pur sempre selvatici.

Sto dando ragione a chi dice di “estirparli” o procedere a un abbattimento massivo? O a chi auspica un’estensione della stagione di caccia, quando è provato che la caccia non risolve ma anzi esaspera il problema? Associazioni come il WWF e altre che da anni affrontano il problema del contenimento dei cinghiali hanno infatti dimostrato che più abbattimenti e pressione sulla popolazione adulta si esercitano, più e più in fretta i cinghiali rimanenti si riproducono. È l’istinto di sopravivenza della specie che si difende da una temuta estinzione.
No, non sto dando ragione a chi si lascia trasportare dall’isteria, dall’illogicità, dalla contiguità con le lobby venatorie per ragioni di affinità o di calcolo politico. Sto semplicemente cercando di dare ragione… alla ragione. Alla razionalità che non dovrebbe mai mancare quando si affrontano situazioni in cui ci sono di mezzo delle vite. Umane o non umane non fa differenza.
Come ho già scritto a proposito della questione degli orsi trentini (v. https://www.dianalanciotti.it/orsi-contro-uomini/), la ragione non sta mai da una sola parte. E non serve a niente schierarsi come tanti tifosi allo stadio. La questione non è “O noi o i cinghiali”, così come non è “O noi o gli orsi”. La questione è, semmai, come evitare che la convivenza con gli animali selvatici diventi pericolosa per noi, ma anche per loro.
Sugli orsi mi sono già pronunciata. Le soluzioni, che competono ovviamente alle istituzioni, sono diverse: dalla sterilizzazione chimica, al trasferimento in aree diverse e non densamente popolate, al monitoraggio costante, alla creazione di corridoi faunistici per consentire loro di sparpagliarsi su un territorio più ampio, alla dissuasione con strumenti idonei, tra i quali isole ecologiche antintrusione.

Per quanto riguarda noi cittadini, nei riguardi degli orsi non possiamo fare granché. Invece nei riguardi dei cinghiali possiamo.
Ad esempio, non dando loro da mangiare ed evitando che trovino cibo a portata di… zampa. Evitare di considerarli e trattarli come graziosi cagnolini, ma tenerli lontani dalle nostre case. Ricordando sempre che come tutti gli animali selvatici sono portatori di ectoparassiti (come le zecche) e di endoparassiti, che disseminano in giro attraverso le loro feci.
Non dobbiamo temere che da soli non riescano a trovare di che sfamarsi: un animale selvatico sa sempre cavarsela. Non se la cava, invece, se noi lo rendiamo semidomestico e lo facciamo diventare dipendente dalle risorse che gli mettiamo a disposizione. Si tratta di rispettare la natura e non volerne sempre sovvertire le regole con la presunzione e l’arroganza tipicamente umane.
Da parte mia, con la campagna “Non trattateci da cani” mi sono posta l’obiettivo di informare sul pericolo di somministrare cibo agli animali selvatici, che oltretutto è un reato. Il foraggiamento dei cinghiali è infatti punito con l’arresto da due a sei mesi o con l’ammenda da 516 a 2.065 euro (art.7 Legge di Stabilità 28 dic. 2015). Con queste misure dissuasive la legge intende impedire che gli animali selvatici vengano nutriti con cibo non idoneo, che potrebbe nuocere alla loro salute, e che abbandonino il loro habitat per cercare più facili fonti artificiali di nutrimento.
Evitiamo perciò di renderli “confidenti” (termine che abbiamo imparato a proposito degli orsi) nei nostri riguardi. Nutrirli li rende semidomestici, li spinge ad avvicinarsi alle case e alle persone considerandole fonte di cibo.
Se amiamo gli animali e abbiamo a cuore la loro e la nostra sicurezza, non trattiamo i cinghiali come dei cagnolini ma lasciamoli vivere nella dimensione selvatica che la natura ha voluto per loro.

Diana Lanciotti

fondatrice e presidente onorario Fondo Amici di Paco
Associazione nazionale per la tutela degli animali ODV

 

 

IL FONDO AMICI DI PACO
Il Fondo Amici di Paco, fondato nel 1997 da Diana Lanciotti con il marito Gianni Errico in seguito all’adozione di Paco al canile, è una delle associazioni no-profit più attive a livello nazionale, sia sotto l’aspetto degli aiuti concreti ai rifugi che quello della sensibilizzazione. Sin dalla nascita, ha portato all’attenzione di istituzioni, media e cittadini le problematiche dei cani e dei gatti abbandonati rendendo noto il fenomeno del randagismo, un tempo ignorato.
Grazie a numerose campagne di sensibilizzazione (come quella di Natale: “Non siamo giocattoli, non regalarci a Natale”, o quella estiva: “Non abbandonare il tuo cane. Lui non ti abbandonerebbe mai”, o quella di Pasqua “Buona Pasqua anche a loro”, tutte realizzate gratuitamente dall’agenzia Errico & Lanciotti), ha saputo aprire la strada a una nuova coscienza nei riguardi degli animali e favorito la nascita di molte altre associazioni impegnate a difenderli, tanto che occuparsi dei diritti e del benessere degli animali è diventato un impegno diffuso e riconosciuto da tanti. In nome e nel ricordo di Paco, scomparso nel 2006, il Fondo Amici di Paco prosegue le sue attività sia nella direzione della sensibilizzazione che degli aiuti concreti ai rifugi che accolgono i cani e i gatti abbandonati. Non avendo spese di gestione (di cui si fanno carico i due fondatori), l’associazione può devolvere l’intero ricavato delle somme raccolte grazie alla generosità dei suoi sostenitori che da tutta Italia appoggiano le iniziative a favore degli animali più bisognosi.

Diana Lanciotti, pubblicitaria, giornalista e fondatrice del Fondo Amici di Paco, è particolarmente nota per i suoi libri sugli animali. Per chi ama i gatti: “C’è sempre un gatto-Dodici (g)atti unici con finale a sorpresa” e “La gatta che venne dal bosco”, storia piena di ironia, emozione e magia. Gli amanti dei cani la conoscono per la quadrilogia di Paco: “Paco, il Re della strada”, “Paco. Diario di un cane felice”, “In viaggio con Paco” e “Paco, il simpatico ragazzo”, bestseller che hanno per protagonista Paco, il trovatello testimonial del Fondo Amici di Paco. Grazie ai libri fotografici “I miei musi ispiratori”, “Occhi sbarrati”, “Mostri canini” e “Cuori grandi così” si è fatta apprezzare anche come fotografa. In “Mamma storna” ha narrato la storia vera di un piccolo storno caduto dal nido. “Boris, professione angelo custode” è stato definito “la più toccante testimonianza d’amore per i cani”. Unendo i temi a lei cari, amore, mare, animali, ha scritto “Black Swan-Cuori nella tempesta”, “White Shark-Il senso del mare”, “Red Devil-Rotte di collisione” e “Silver Moon-Lo stregone del mare”, romanzi d’amore e di mare con i quali ha inaugurato il filone del “romanticismo d’azione”. Con il giallo vegetariano “La vendetta dei broccoli” ha aperto un importante dibattito sulle scelte alimentari. “L’esperta dei cani”, “I cani non hanno colpe” e “Ogni gatto è un’isola” sono dedicati al tema della comprensione dei nostri animali, al quale si dedica dal 2008 sulla rivista “Amici di Paco”. In “Cara Diana ti scrivo” ha raccolto 22 anni di corrispondenza con gli “amici di Paco” ma non solo. “Antivirus. Emergere dall’emergenza”, “Guariremo solo se…” e “Libera mente” si occupano di tematiche politiche e sociali con un approccio “fuori dal coro”. Titolare dell’agenzia Errico & Lanciotti, che firma gratuitamente la comunicazione del Fondo Amici di Paco, è direttore responsabile della rivista Amici di Paco e direttore editoriale di Paco Editore. Vive in Sardegna e sul lago di Garda con il marito, due cani e cinque gatti. Il suo sito è www.dianalanciotti.it.

La campagna “Non trattateci da cani”, declinata in due soggetti (un cucciolo e un adulto di cinghiale), come tutte le campagne del Fondo Amici di Paco è realizzata gratuitamente dall’agenzia Errico & Lanciotti, sotto la direzione creativa di Diana Lanciotti.
Per chiederne un pdf da pubblicare o esporre: simona@amicidipaco.it.

Per informazioni, adesioni o per richiedere la rivista “Amci di Paco”:
Fondo Amici di Paco tel. 030 9900732, paco@amicidipaco.it, www.amicidipaco.it
Per devolvere il 5×1000 al Fondo Amici di Paco per aiutare tanti animali in difficoltà il codice fiscale è: 01941540989

Simona Rocchi
ufficio stampa Fondo Amici di Paco

 

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4 commenti

  • Giusi

    Che dire di più? Come sempre hai centrato l’argomento senza eccessi e fanatismi. Alla fine i nodi vengono al pettine perciò bisognerebbe mettere persone di buon senso come te nella stanza dei bottoni. Te lo dico da tanto tempo: perché non entri in politica?
    Buona domenica

    Giusi

  • Giovanna

    Cara Diana, a me personalmente i cinghiali non fanno paura però capisco che a qualcuno la facciano e che comunque in alcune zone siano diventati un problema. Come dici non bisognerebbe dar da mangiare ai cinghiali ma conosco famiglie che lo fanno e poi si lamentano perché sporcano o entrano nei giardini e fanno disastri. Manca il buon senso e da parte dei comuni i mezzi o la volontà di mettere in campo delle soluzioni per la sicurezza e la salute dei cittadini… Forse si dà più retta ai cacciatori perché i loro voti contano di più?
    Molto bella la campagna e il messaggio che lancia. La esporrò nei miei uffici.
    Grazie e un abbraccio

    Gio

  • C.D.

    Concordo pienamente con l’articolo ma spesso mi trovo a litigare con i vicini che foraggiano costantemente i cinghiali che ormai passano in orari di routine.
    Addirittura vengo additato di essere una persona insensibile, poiché “non sto facendo nulla di male perché sto sfamando un povero animale, al posto di buttare in pattumiera del cibo avanzato”.
    La cosa assurda è che gli stessi vicini sono quelli che chiedono insistentemente di posizionare reti metalliche (vietate e chiaramente antiestetiche) appunto per evitare che i cinghiali rovinino “il giardino” durante il periodo invernale.
    Chiaramente i cinghiali dovrebbero smettere di mangiare e forse anche di esistere d’inverno, facendo la loro comparsa solo d’estate quale “attrattiva turistica” per amici e bambini…
    Suggerisco di inserire anche un rimando alla Legge del 28/12/2015 n. 221 – all’art.7 al comma 2 che viene disciplina il divieto del foraggiamento ai cinghiali definita quale specie protetta:
    “E’ vietato il foraggiamento di cinghiali, ad esclusione di quello finalizzato alle attivita’ di controllo. Alla violazione di tale divieto si applica la sanzione prevista dall’articolo 30, comma 1, lettera l), della citata legge n. 157 del 1992.”
    Per inciso quindi la norma disciplina che i trasgressori, ovvero chiunque procuri cibo, in modo del tutto innaturale, ai cinghiali, siano puniti con un’ammenda da 516 euro a 2.065 euro oppure con l’arresto da due a sei mesi
    Cordialmente

    C.D.

  • Flavia N.

    Diana cara purtroppo è sempre il buon senso che manca in tanti cervelli. Come si fa a non capire che dare del cibo (il nostro, poi, che gli fa anche male!!!) agli nimali selvatici non si deve assolutamente fare? Del resto guarda cosa è successo nel Trentino con quel povero runner e quella povera orsa perché io li considero delle vittime allo stesso modo della faciloneria con cui si affrontano le cose. Fugatti si è trovato in una situazione creata da chi l’ha preceduto ma mi pare però che non abbia assolutamente la capacità o la volontà di uscirne. Parlando di cinghiali… ormai tutta Italia è paese. Guarda cosa succede a Roma… la capitale d’Italia! E poi ci sono i cretini che invece di dare una mano a tenere pulito sporcano persino… le fontane e i monumenti!! Ma che mondo è diventato?
    Scusami per lo sfogo e complimenti per la tua inizativa… dovrebbero mostrarla nelle scuole.
    Un saluto cordiale

    Flavia

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