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Randagi contro uomini. Le verità taciute

I primi giorni di marzo si sono verificate due terribili aggressioni di cani randagi che hanno ucciso due persone. Ma dietro a questi episodi che fanno notizia, c’è tutta una serie di aggressioni non rese note dai giornalisti, delle quali però bisogna essere informati per capire che il randagismo è una piaga che va combattuta dal punto di partenza: dall’abbandono. Serve una più profonda cultura animalista, la diffusione di valori come il rispetto e la comprensione, nuove leggi e l’applicazione di leggi che già ci sono ma nessuno fa osservare.
Ne parla Diana Lanciotti, fondatrice e presidente onorario del Fondo Amici di Paco, in un articolo pubblicato sul prossimo numero (il 50) di “Amici di Paco”, proponendo alcuni spunti di riflessione su un fenomeno spesso sottaciuto, ma che dovrebbe essere reso noto per aumentare la sensibilità contro l’abbandono dei cani.

“Cani randagi aggrediscono e sbranano pensionato comasco”. La notizia, data da giornali e telegiornali, è del 2 marzo e segue quella di due giorni prima, di un camionista a sua volta sbranato da un branco di cani a Livorno.
Dopo l’orrore e il dolore (essere sbranati credo sia una delle morti più orribili e dolorose), viene subito da pensare: “Ci risiamo, i cani hanno ricominciato ad aggredire l’uomo”.
Chi non l’ha detto o pensato?
Sembra quasi un segnale, una forma di rivolta, di quello che a giusta ragione viene considerato il nostro migliore amico, nei riguardi dell’uomo che, a volte, si rivela il suo peggior nemico.
E invece non è affatto così: innanzitutto perché il cane è un essere scevro da idee di vendetta (sentimento a uso esclusivo dell’uomo) e poi perché le povere vittime molto probabilmente in vita loro non hanno mai nemmeno dato uno scappellotto per scherzo a un cane. Quindi non si tratta di rivolta, né di vendetta.
Eppure due episodi così ravvicinati nel giro di pochi giorni, e così cruenti, oltre a far inorridire danno da pensare.
Come mai sono successi? Sembrerebbe quasi una forma di contagio (ma non essendo una malattia, non è questo il caso) o di passaparola. Ma i cani non guardano la tivù, non usano il telefono, non si inviano mail o sms per concertare su vasta scala qualche azione ai danni dell’uomo… anche questi sono tutti atteggiamenti a uso esclusivo dell’uomo.
Ecco, vedete? Quando si parla di cani spesso si va a rovistare tra i comportamenti umani, e se un cane fa qualcosa di disdicevole o, addirittura come in questi casi, orribile, si cerca di attribuire al suo comportamento una connotazione umana. E invece ci si sbaglia perché, e per fortuna, i cani sono lontani anni luce dal riprodurre certi comportamenti di inaudita crudeltà che sono, ancora una volta, a uso esclusivo dell’uomo.
E allora ci si domanda: come mai nel giro di un paio di giorni, e in luoghi così distanti, due fatti così terribilmente simili? E tutti a interrogarsi sul perché, e a cercare delle soluzioni urgenti (come se non ci fossero già gli strumenti per risolvere il problema).
Ovviamente anch’io mi sono interrogata, fatalmente attratta e incuriosita dalla strana coincidenza di due fatti così tristemente simili in così poco tempo.
Subito viene in mente l’escalation di aggressioni del 2003 che diede vita alla famosa e vituperata Ordinanza Sirchia contro i cosiddetti “cani pericolosi”, ordinanza decisa in fretta e furia, tanto per far vedere che si faceva qualcosa, tanto per gettare fumo negli occhi all’opinione pubblica allarmata dal ripetersi quasi quotidiano di aggressioni canine.
E allora ho pensato di fare una ricerca su internet, per vedere se qualcuno (associazioni animaliste, veterinari, esperti cinofili) riusciva a dare una spiegazione alla ripresa del fenomeno.
Vado su Google e, come parole chiave, digito “randagi aggrediscono”. Un paio di secondi, si apre la schermata e… rimango di stucco.
Leggo.
“Bagheria: 4 cani randagi aggrediscono una ragazzina”.
“Rimini: Randagi affamati aggrediscono un uomo”.
“Laureto: Cani randagi aggrediscono in strada due persone”.
“Canicattì: Randagi aggrediscono studente”.
Quattro fatti, più i due mortali di Milano e Livorno, avvenuti non in un anno, non in un mese, ma nella stessa settimana. Possibile? E come mai nessun telegiornale ne ha parlato? Approfondisco l’indagine e mi accorgo che le aggressioni di cani randagi sono non dico all’ordine del giorno, ma molto più frequenti di quanto telegiornali e giornali nazionali ci raccontino.
Come mai? Per non generare allarmismi? Per non creare nella cittadinanza la fobia canina? Per una forma di amore e rispetto verso creature troppo spesso maltrattate e non farne oggetto di una campagna d’odio?
No. No. Non è così. Conosco bene i giornalisti (sono giornalista anch’io, dopotutto, anche se… non è il giornalismo che mi dà da mangiare) e so bene come e quanto abbiano sempre bisogno di notizie per riempire quei contenitori vuoti che sono le tv e i giornali. Però deve trattarsi di ”notizione”, di notizie bomba, notizie che fanno sensazione. Mica la semplice aggressione di un branchetto spaurito di cani che fa bù a una ragazzina e quella si spaventa, ma fugge via e se la cava (ahinoi…) senza un graffio. Che notizia è? Ve la immaginate, data al telegiornale delle venti? Senza neanche una goccia di sangue da mostrare, senza neanche un lenzuolo bianco steso a terra a coprire un corpo straziato e mutilato… Nessun direttore di tg accetterebbe una notiziola così da poco.
Giornalisti… Gli stessi giornalisti che ogni inizio estate, solo perché qualcuno gli passa la notizia (che, appunto, fa notizia) che gli abbandoni sono aumentati, loro la riportano pari pari. E così, anche se non è vero, fanno credere che sia vero: parlandone, la sensazione che gli abbandoni aumentino diventa realtà concreta.
E invece, sulle quasi quotidiane aggressioni da parte di randagi si sta zitti.
Bisogna proprio che ci scappi il morto, perché se ne parli.
È triste, ma è così. E così noi rischiamo di non sapere che le aggressioni di cani randagi (randagi perché abbandonati da qualche “bestia” umana, perché rinselvatichiti, perché non sterilizzati) costituitisi in branco sono un fenomeno molto ma molto più frequente.
A giornali e tigì non interessa nulla dirlo. Non fa notizia. E ai comuni, alle forze dell’ordine, ai vari ex ministri del turismo e ai vari ex sottosegretari alla salute sempre in primo piano alle manifestazioni animaliste più “di moda”, dove c’è sempre una selva di microfoni per intervistarle e di telecamere per riprenderle a testimonianza del loro sincero e profondo impegno animalista, interessa men che meno. Anzi, è un problema di cui proprio non vogliono sentir parlare. Lasciateli in pace, poverini.
Eppure quello del randagismo e dei pericoli che ne derivano è un problema grosso, che mette a repentaglio l’incolumità dei cittadini e parlarne, tracciarlo nella giusta gravità, servirebbe a far capire a chi ancora non lo capisce che abbandonare i cani non è solo crudele e ingiusto verso i cani stessi, ma è anche un pericolo per la salute pubblica.

Noi lo diciamo da anni, da anni diciamo che ogni anno 4.000 incidenti stradali sono causati da animali randagi e ora sappiamo che sono tante, molto ma molto più di quanto si sappia e si creda, le aggressioni (per fortuna raramente mortali) a persone (tra cui bambini e anziani, i più deboli e incapaci di difendersi o fuggire!)
Parlare di episodi concreti, anziché di semplici numeri, servirebbe molto ma molto di più a debellare il randagismo. Perché il randagismo, anche se si fa finta di non saperlo, non nasce da solo, ma è originato da un gesto semplice quanto vigliacco: quello di abbandonare un cane. E poi lasciare che si aggreghi in branco ad altri cani randagi, che si rinselvatichisca e diventi un pericolo per la società, trasformandosi da miglior amico dell’uomo in suo mortale nemico.
Come abbiamo già detto più volte, e ora ripetiamo, è meglio, molto meglio prevenire (con campagne di sensibilizzazione, soprattutto sui giovani in età ancora scolare, col far applicare le norme esistenti, coll’inasprirne la portata, col promuovere la sterilizzazione, coll’insegnare a chi ha un cane a gestirlo, attraverso la giusta educazione che si fa nei centri cinofili, e che si dovrebbe iniziare ancora a scuola).
Meglio prevenire, agire prima, che correre ai ripari poi.
Il cane vive con noi da secoli ed è entrato in casa nostra a pieno diritto, come un membro della nostra famiglia. Il nostro Fido, il nostro Billy, il nostro Benny, che ogni sera ci saluta festoso al nostro rientro a casa, che ci riempie di feste e che noi riempiamo di coccole e vizi… ecco, ve lo immaginate, ora, il nostro migliore amico, il nostro compagno di vita, lasciato a sé stesso in mezzo a una strada? Come se la caverebbe? Probabilmente finirebbe sotto le ruote di un’auto, o morirebbe di stenti. Oppure finirebbe per aggregarsi a un branco rinselvatichito, rinselvatichendosi a sua volta…
Che effetto vi fa, pensarci? Non vi tremano le gambe solo all’idea? Eppure, tutti quei “feroci assassini” che hanno sbranato degli esseri umani erano a loro volta il Fido, il Billy, il Benny di qualcuno, o tutt’al più ne sono i figli, o i nipoti. Loro, o i loro genitori, o i loro nonni, un giorno sono stati scaraventati per strada, gettati come scarpe vecchie e consunte, lasciati a sbrigarsela da soli. E loro, seguendo la memoria atavica del loro progenitore, il lupo, si sono uniti e ora, dimentichi di essere stati animali domestici, come tanti lupi famelici aggrediscono gli esseri umani, punendo un uomo innocente per le colpe di quell’uomo che un giorno li ha rifiutati e condannati a vivere ai margini della società civile. Bollandoli poi come “belve assassine”.

Diana Lanciotti – Amici di Paco n° 50, marzo 2012

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