News

Je ne suis pas Charlie… ni Mahomed…

Mi dispiace, so che in questo momento in cui tutto il mondo deplora (giustamente) il massacro di Parigi e piange le vittime potrò sembrare blasfema. Però, pur condannando con tutta me stessa la barbarie di una strage orrenda da parte di tre fanatici (che considero più delinquenti comuni che religiosi), non riesco a identificarmi con le vittime, non riesco a far mia la loro “battaglia”, non riesco a vedere nella loro morte una forma di martirio, come qualcuno ha voluto rappresentarla.

Si sta parlando a sproposito di libertà, in questi giorni, citando la famosa frase della scrittrice Evelyn Beatrice Hall, erroneamente attribuita a Voltaire: “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte per difenderle”.
Si parla tanto di libertà di espressione, di libertà di stampa, di sacrificio in nome della libertà come bene supremo.
Possibile però, che nessuno si accorga della contraddizione di tutte queste affermazioni?
Citare Voltaire (seppur sbagliando persona) in questo caso mi sembra fuori luogo
Si parla di libertà di espressione, di idee non condivise ma da difendere a costo dell’estremo sacrificio… E si mette sullo stesso piano la libertà di culto, cioè di professare la propria religione (che è un diritto inviolabile, che tutti dovremmo rispettare), con la libertà di scarabocchiare qualche vignetta satirica, tra l’altro di dubbio gusto, che diverte più chi la disegna che chi la legge.
È satira offendere e deridere in modo pesantemente volgare chi pratica una certa religione? È libertà offendere o insultare chi professa idee diverse? Ecco la contraddizione: se derido, insulto, offendo chi professa una fede religiosa che non condivido, rivendicando la libertà di farlo, in realtà ne ledo la libertà di culto. Per affermare la “libertà di satira” si calpesta la libertà, che dovrebbe essere sacra, di credere nei modi in cui la coscienza individuale indica a ognuno di noi.
E questo vale per qualunque tipo di religione.

Siamo certi che nel caso delle vignette di Charlie Hebdo si tratti di libertà di espressione e non, piuttosto, di libertà d’insulto? Siamo davvero sicuri che i vignettisti di Charlie Hebdo con le loro vignette dissacranti difendessero la nostra libertà e non, piuttosto, che l’abbiano messa in pericolo, alla mercé di qualunque pazzo fanatico? Siamo sicuri che il mondo sia più libero solo perché è concesso a un manipolo di pseudogiornalisti di disegnare qualche vignetta dissacrante, che nulla aggiunge al nostro modo di vivere e professare la democrazia e la libertà?
Siamo forse più liberi perché esiste Charlie Hebdo? Oppure Charlie Hebdo esiste perché viviamo in un mondo in cui il significato di libertà a volte sfuma e assume una valenza monolaterale, dove il rispetto per le idee e i valori altrui è annullato dalla libertà di dire ciò che si vuole, purché si sia giornalisti. Sempre pronti a tutelare le diversità (religiose, culturali, sessuali) purché la cosa non li tocchi. Se invece la cosa li tocca, come in questo caso, all’improvviso si accorgono che l’integralismo islamico è una minaccia seria, reale. E come mai finora non se n’erano accorti? Come mai parlare di difendersi dalle infiltrazioni terroristiche che possono arrivare anche attraverso il canale sempre pericolosamente aperto di Mare Nostrum era finora considerato razzismo, mentre ora imperversano in tv e sui giornali le discussioni sul pericolo islamico? Solo perché i giornalisti, dall’alto del piedestallo su cui loro stessi si pongono, si sono accorti che a scherzare col fuoco ci si può davvero bruciare.
Eppure fino a ieri si scandalizzavano se dicevamo che, anziché spalancare le porte ai clandestini, dovremmo aiutarli a restare nei loro paesi d’origine, aiutarli a vivere dignitosamente conservando le loro radici, le loro tradizioni, la loro cultura, la loro dignità, anziché venire da noi per vivere da emarginati o comunque ospiti sgraditi.
Se lo dicevamo eravamo razzisti, non fautori della pari dignità delle diverse identità religiose e culturali.

Il giornalismo, la libertà di stampa sono ben altro, a mio avviso. La libertà di esprimere le proprie idee va difesa fino in fondo. Ma dove sta l’idea da difendere nel rappresentare in modo offensivo un profeta venerato da milioni di persone (non necessariamente fanatiche integraliste), o un Papa amato da milioni di fedeli o un ebreo come se fosse un cretino?
Siamo di fronte all’annoso dilemma sui limiti della libertà personale: la libertà di ognuno finisce davvero dove inizia la libertà altrui? O ci sono due pesi e due misure?
Il direttore di Charlie Hebdo si vantava in un’intervista di non aver nulla da perdere: non una famiglia, non una casa, non un’auto… quindi era pronto a battersi fino in fondo, a immolarsi per le sue idee. Peccato che per essere coerente con le sue “idee” non solo abbia perso la vita lui stesso, ma siano morti anche suoi colleghi e poliziotti, sacrificatisi (quelli sì davvero) per consentire a lui di gingillarsi tutti i giorni prendendo di mira con ingiustificata ferocia cattolici, ebrei, musulmani.
Lo so, non si dovrebbe parlare così dei morti. Non è politicamente corretto, soprattutto se questi morti sono giornalisti (a dir il vero vignettari, pardon vignettisti, assurti con la loro morte all’olimpo del giornalismo. Giornalisti che in un mondo civile invece di essere trucidati sarebbero stati semplicemente seppelliti dall’indifferenza del pubblico e dal calo delle vendite del loro foglio).
Ma io ne sto parlando di quand’erano vivi e, perseguendo a oltranza la loro voglia di dissacrare tutto, in modo pesante e inutile (c’era forse più libertà al mondo solo perché loro pubblicavano le loro vignette?), si sono dimenticati di dare un’occhiata appena un po’ più in là del loro tavolo da disegno. Se solo l’avessero fatto si sarebbero accorti che là fuori ci sono persone con cui non si può dialogare civilmente, con cui non si può scherzare e divertirsi e prendersi a pacche sulle spalle.
Ci sono persone pronte a imbracciare un kalashnikov e a sparare in nome di una fede distorta dal fanatismo più ignorante, persone che non hanno nulla da perdere se non la propria disumanità costruita sull’odio più feroce. Persone incapaci di accettare le idee e i valori altrui, il senso di civiltà di popoli che fondano da secoli la loro storia sulla libertà. Persone per cui la vita altrui vale ancor meno della propria che, appunto, non vale nulla.
E cosa ci si può aspettare da persone così, persone con la testa imbottita di concetti lontani anni luce da quelli a cui ci ispiriamo noi?
Che senso ha colpire queste persone attraverso la “satira”, che poi in questo caso è insulto? Colpirle offendendole e pretendere che non si vendichino? Sarebbe (faccio un esempio che è di mio marito) come entrare in una gabbia di leoni affamati sventolando la bandiera della pace, e poi meravigliarsi se si viene sbranati. Come nuotare in un fiume popolato di coccodrilli raccontando la barzelletta di quel coccodrillo sdentato che piangeva perché al pranzo di Natale non riusciva a sgranocchiare il torrone e aspettarsi che quelli ridano invece di mangiarci in un boccone.
So che il paragone con gli animali è forzato e ingiusto: non c’è bestia che raggiunga il livello di crudeltà che gli esseri umani purtroppo raggiungono molto spesso. Ciò che intendo è che quando si parlano linguaggi troppo diversi i risultati possono essere inaspettati, le conseguenze incontrollabili.
Noi parliamo il linguaggio della fratellanza, della comprensione, della libertà; quelli (una minoranza, non tutto il mondo islamico) parlano il linguaggio della violenza, del terrore, dell’inciviltà.

A che cosa serve pubblicare qualche insipida (e oltretutto brutta) vignetta, se non a provocare qualche reazione inconsulta? Era quello che volevano, i vignettisti di Charlie Hebdo? Non credo, e credo anzi che se potessero tornare indietro e conoscere le conseguenze delle loro scelte prenderebbero strade diverse.
Forse si renderebbero conto che col loro atteggiamento infantile-anarchico-dissacratore avrebbero acceso la miccia di una bomba pronta a esplodere. Che ora è esplosa, e ha fatto già le prime vittime.
Ora siamo tutti più in pericolo: il fanatismo è un virus con una capacità di propagazione inarrestabile, soprattutto quando si innesta in ambienti già indeboliti, come possono essere certi individui disadattati, emarginati, caduti nelle sgrinfie di predicatori che in nome di una malintesa fede religiosa inneggiano all’odio e all’annientamento del “nemico”.
È un dato di fatto che ormai da tempo (e non da ieri o l’altro ieri) in Europa ci siano covi in cui si allevano e addestrano futuri “combattenti” per l’Islam (in una mala interpretazione del Corano). Lo sappiamo da tempo. Eppure la nostra Europa, invece di difendersi da questo tipo di nemici, è troppo impegnata a farsi la guerra, una guerra intestina tra i vari stati, per indebolirsi reciprocamente e ottenere l’egemonia politico-finanziaria. Una specie di terza guerra mondiale, che vede una riedizione del Terzo Reich impegnato a sottomettere gli altri stati. La vendetta di nonno Adolfo, insomma, tornato tra noi nelle vesti di frau Merkel.

La manifestazione di oggi a Parigi, dove oltre un milione di persone ha sfilato per esprimere solidarietà con le vittime della strage e fare fronte unito contro il terrorismo, dovrebbe dimostrare una ritrovata unione tra gli stati europei…
Ma… siamo sicuri che le cose stiano davvero così? Certo, abbiamo visto capi di stato marciare a braccetto per dire no al terrorismo (gli stessi capi di stato che non hanno mai mosso e continueranno a non muovere un dito per aiutare l’Italia a contrastare l’assalto dei clandestini).
Siamo però sicuri che sarebbe successa la stessa cosa se a essere trucidati fossero stati “semplici” poliziotti, “semplici” cittadini e non giornalisti? Siamo certi che tutto lo sdegno, il dolore, le manifestazioni pubbliche avrebbero avuto la stessa portata se a morire ammazzati fossero stati dei medici, dei tassisti, dei professori, degli studenti?
Lo scorso dicembre in Pakistan i talebani hanno massacrato 141 studenti in una scuola. Eppure non ho visto nessuna piazza gremita di persone, nessun capo di stato sfilare tenendosi a braccetto per dire no all’assassinio di tanti bambini innocenti, nessun cartello con la scritta “Siamo tutti Pakistani”.
Già, forse eravamo sotto le feste e tra addobbare l’albero di Natale e preparare il cenone della Vigilia tempo non ce n’era per badare a queste cose. Oppure… oppure è vero che ci sono morti di serie A e morti di serie B.
I bambini del Pakistan erano “cittadini comuni”, degni tutt’al più di qualche pagina di quotidiano e qualche e servizio al tg, mentre i vignettisti di Charlie Hebdo appartenevano alla grande casta dei giornalisti, capace di proteggere sé stessa e i propri inviolabili interessi manipolando l’opinione pubblica.
Ecco, sì: molto di quello che sta succedendo, compresa la manifestazione di oggi a Parigi, mi sa di manipolazione dei giornalisti, di condizionamento capace di riempire la piazza di cittadini che non hanno saputo indignarsi per l’assassinio di 141 bambini o delle continue stragi in Nigeria e in Siria, ma si sono invece raccolti in nome di una libertà di espressione, che in questo caso è pura libertà di insulto.
Una “libertà” che non ci rende più felici e liberi in questo mondo. E non aggiunge niente al nostro modo di vivere.

Diana

P.S.Ho appena letto su Libero le parole pronunciate dal Papa 4 gioni dopo questo mio articolo:
“È una aberrazione uccidere in nome di Dio” ma “non si può insultare la fede degli altri”. “Non si può prendere in giro la fede”, avverte il Papa. “C’è un limite, quello della dignità di ogni religione”. Per Bergoglio, sia la libertà di espressione che quello di una fede a non essere ridicolizzata “sono due diritti umani fondamentali”. “Non si ‘giocattolizza’ la religione degli altri”.
Ecco il link all’articolo su Libero http://www.liberoquotidiano.it/news/i…ge-di.html
E poi trovo interessante anche il parere del fondatore di Charlie Hebdo, che si dissocia dalla linea seguita dal direttore trucidato dai terroristi. Ecco il link: http://www.liberoquotidiano.it/news/e…arlie.html

 

N.B. Questo è uno dei 160 articoli contenuti nel nuovo libro Antivirus. Emergere dall’emergenza di Diana Lanciotti – Paco Editore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

10 − 6 =