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Quando se ne vanno… (riflessioni a cuore aperto sulla perdita dei nostri migliori amici)

È un argomento che, purtroppo, ritorna ciclicamente: la scomparsa di un cane o di un gatto amato è un vuoto da riempire o da lasciare, appunto, vuoto?
La perdita di un amico a quattrozampe è un dolore che in molti abbiamo provato tante volte nella vita, e che apre scenari diversi in base alle diverse situazioni e alle diverse sensibilità. Quando loro se ne vanno, ci si chiede, è giusto “sostituirli” o è necessario osservare un periodo di lutto per, come dice qualcuno, metabolizzare la mancanza, o è più rispettoso non accogliere in casa un altro amico peloso per non fare un torto a chi se n’è andato?
Quante volte mi sono sentita rivolgere queste domande… e ogni volta mi sento investita, oltre che di un grande onore per la fiducia che viene riposta in me, di una grande grande responsabilità.

Anche se non è mai facile dare una risposta univoca, perché ogni caso va valutato in sé, le prime due ipotesi sono a mio avviso le più giuste: sia riaprire subito cuore, mente e casa a un’altra vita che si affiderà a noi, sia prendersi un periodo di pausa, per ricaricare le pile mentali e fisiche, molto spesso esauste soprattutto se l’addio è giunto alla fine di una lunga malattia che ha impegnato tutte le nostre forze per accompagnare in modo compassionevole e senza sofferenze i nostri amici. Al contrario, ho l’impressione che la terza opzione (“basta, non voglio più animali, non potrei amare un altro animale”) sotto sotto nasconda un minimo di egoismo o comunque una valutazione sbilanciata: il non voler soffrire implica il rifiuto di un dolore che è tutto sommato piccolo in confronto alle gioie immense che ci regala l’avere accanto un animale che amiamo e ci ama.

Per quanto riguarda il dolore, credo che quello che proviamo per la perdita dei nostri cari (umani e animali) sia un sentimento che dobbiamo loro per l’amore che ci ha legati. A chi ha paura di soffrire o si vergogna delle lacrime versate per un cane o un gatto (sono sempre meno, ma ci sono anche persone che si vergognano a esternare i propri sentimenti per gli animali) dico sempre: «Goditi il tuo dolore fino in fondo, non averne paura o vergognartene. Loro meritano tutte le nostre lacrime. Piangerli è un modo per onorare la loro memoria e ridurre il senso di soffocamento che la loro scomparsa ci lascia. Lasciamoci andare al dolore, poi arriveranno anche i sorrisi per tutti i bei ricordi che ci hanno legati.»

In ogni caso sono decisioni sempre molto personali, che devono tenere conto di tante variabili, non solo sentimentali ma anche pratiche.
Ma sono dell’avviso che, se nulla osta, sia giusto non chiudere il cuore all’amore. Che non si esaurisce mai, nemmeno quando ci sembra, ma è capace di rinnovarsi all’infinito, alimentato dallo sguardo carico d’amore di un altro cane o un altro gatto che, senza rimpiazzare nessuno, riuscirà a farsi posto tra le nostre braccia. Non chiudiamole: spalanchiamole a chi ci amerà donandoci a sua volta il suo cuore.
Proprio recentemente, sul numero 75 di “Amici di Paco”, la rivista del Fondo Amici di Paco che dirigo e per cui curo la rubrica “Parliamone insieme”, ho affrontato il caso di Veronica che, dopo la scomparsa del suo amato micio, si è rivolta a me per avere un consiglio.

Ecco qua la lettera di Veronica e le riflessioni che ne sono scaturite. Mi piacerebbe conoscere anche le vostre.
Scrivetemi, commentando qui di seguito.

Silvestro, un gatto tira l’altro…

IL PUNTO DI PARTENZA
Cara Diana, ho comprato e letto il tuo libro “Ogni gatto è un’isola”, dove ho trovato tanti consigli interessanti. Di gatti credevo di sapere tutto… ma come scrivi da loro c’è sempre da imparare.
Ho tre gatti… anzi due. Pietro, il mio gatto bianco se n’è andato un mese fa. Era malato ma lui faceva finta di star bene e ci ha illusi che potesse stare con noi per altri anni. Era un gatto fortissimo, il capogang del trio felino. Ora sono rimasti Egle e Porfirio. Erano molto uniti, soprattutto Egle e Pietro, arrivati insieme dieci anni fa, trovati a vagare dietro casa dei nonni in campagna. Erano minuscoli, abbandonati da chi sapeva che i nonni accoglievano tutti i vagabondi della zona.
Egle e Porfirio sono diventati strani. Dormono appiccicati tutto il giorno, mangiano e dormono, come se fossero esausti. Il veterinario dice che gli manca la colonna portante. Il capogang. Un po’ per loro ma anche per me che sento la mancanza di Pietro ho pensato di cercare un altro gatto. A parte le difficoltà a convincere le volontarie delle associazioni a darti un gatto (ti fanno il terzo grado come se fossi una malintenzionata invece che una persona che vuole adottare un gattino) ho tanti dubbi perché ormai i due mici sono grandi e non so come prenderebbero l’arrivo di un nuovo micio. Non vorrei spezzare un equilibrio e che se la prendessero con me, oltre che col nuovo venuto. Mio marito è contrarissimo, dice che Pietro non si può sostituire, mentre nostra figlia ogni giorno va su internet a guardare gli annunci di gattini da adottare e me li mostra. Ho fatto un paio di telefonate, ma come ti dicevo sembra che i gatti non te li vogliano dare. Ma allora, dico io, perché mettono gli annunci e chiedono aiuto?
Forse dovrei solo aspettare che passi il tempo e il dolore e la mancanza si attenuino, però l’idea di dare un tetto a un gatto sfortunato non mi sembra così sbagliata…
Mi dai un consiglio? Chissà quante volte hai sentito farti queste domande… Grazie e un abbraccio
Veronica

Giorni fa parlavo con un’amica che, rimasta senza il suo cagnolone dopo dodici anni di affetto, soffre, soffre, soffre. La capisco perché io soffro, soffro, soffro ogni volta che un mio cane o un mio gatto mi lascia. Mi è successo decine di volte, visto che la mia famiglia è sempre stata composta da umani e animali. Eppure, ogni volta che è successo che uno di loro ci lasciasse, non ho mai pensato “Ho sofferto troppo, non voglio più.” Perché ogni volta ho messo sul piatto della bilancia le gioie di tutta una vita (la loro, purtroppo troppo breve rispetto alla nostra) e il dolore della perdita. E la bilancia pende ogni volta, inevitabilmente, dalla parte delle gioie.
Ci sono tanti modi e tante occasioni per soffrire, a questo mondo, e qualcuno si chiede e mi chiede che senso abbia aggiungere dolore a quello che la vita già ci dispensa abbondantemente.
«Chi te lo fa fare?», mi chiede qualcuno. Ci sono problemi, tanti e tanto grandi, che andarseli a cercare sembra davvero da masochisti. Almeno è quello che pensa chi, sfortunato lui, sfortunata lei, non ha mai provato la gioia profonda, indescrivibile, di essere amato da un cane (o un gatto).
Quando un animale amato ci lascia, il vuoto è talmente grande che per alcuni reclama di essere riempito. Per altri resta e deve restare incolmabile. Pensare di riempirlo sembra un’offesa, un oltraggio a chi se n’è andato.
Anni fa rischiai di perdere un’amicizia quando una coppia di amici perse il proprio amato Roby, un secondo figlio oltre a quello umano. Sapevo quanto soffrissero, e anch’io soffrivo per loro, sapendo quanto la compagnia del cane li avesse anche aiutati a superare momenti difficili. Un giorno trovai un annuncio su un cane della stessa razza, la loro preferita, abbandonato e in cerca di adozione. Glielo segnalai. Lei mi rispose piccata che nessuno li aveva capiti, che perdere Roby era stato come perdere un figlio e che un figlio non si può sostituire. Mi sentii stupida, nonostante fossi animata dalle migliori intenzioni.
Sono d’accordissimo che un cane, o un gatto, diventano dei figli. Sono un po’ meno d’accordo sul fatto che, quando uno di loro ci lascia, non si possa pensare ad accogliere un altro cane, o un altro gatto. Nel momento in cui si decide di convivere con un quattrozampe, è da mettere in preventivo che, a meno di eventi avversi, la sua vita avrà una durata minore della nostra. E quando ci lascia, se abbiamo avuto lo spazio nel cuore e in casa per accoglierlo, non vedo perché, una volta che quello spazio si è “liberato”, non possiamo offrirlo a un altro essere che ha bisogno del nostro affetto. Che, badate, non è contingentato, non si esaurisce, ma si rinnova continuamente sotto lo stimolo dell’amore che un nuovo quattrozampe ci dona.

I CONSIGLI
Sono queste le riflessioni che espressi a Veronica, quando mi scrisse un paio d’anni fa. Dall’episodio dei padroni di Roby cerco di evitare di dare suggerimenti non richiesti, ma quando qualcuno mi chiede un parere sulla questione sono ben felice di aiutarlo a prendere una decisione di cui alla fine sarà felice.
Il caso di Veronica mi si è ripresentato alla mente proprio in questo periodo. La perdita di Leo e, a distanza di pochi mesi, della nostra Maggie, che molti di voi hanno conosciuto in La gatta che venne dal bosco, sono state batoste da cui non ci si riprende in fretta. Se poi si collocano in un periodo in cui l’umanità è messa sotto scacco da un virus e il cuore è attanagliato dal dolore per la tragedia che tanti hanno vissuto o stanno vivendo, manca la voglia di sobbarcarsi altri problemi, altri pensieri
Eppure, per tanto che abbia voluto bene alla Maggie e a Leo, per tanto che abbia sofferto accanto a loro durante il loro calvario, nonostante le forze se ne siano in buona parte andate con loro, non ho mai pensato “basta”. Nel mio cuore, finché batterà, ci sarà sempre posto per accogliere un altro cane o un altro gatto.
La paura di Veronica, e di tante altre persone che si trovano davanti a una scelta come la sua, e alla famiglia divisa tra il no e il sì, è di offendere la memoria di chi se n’è andato. Solo in secondo luogo di creare squilibri se in casa ci sono già altri gatti.
Come abbiamo scoperto in Ogni gatto è un’isola, il gatto è meno lineare e prevedibile del cane, quindi scommettere sulle sue reazioni non è mai prudente. Però è anche vero che, anche se lo manifesta in modo meno palese, sotto la sua scorza di indipendenza, più apparente che reale, è pur sempre un animale sociale e socievole. In natura, allo “stato brado”, molto raramente i gatti vivono da soli, ma preferiscono riunirsi in colonie, dove collaborano al mantenimento e alla sicurezza della piccola comunità.
Ecco, la nostra famiglia, la nostra casa può essere considerata una sorta di “colonia felina” dove, salvo casi davvero rarissimi, ogni nuovo arrivato viene accettato e accolto.

LE SOLUZIONI
Il segreto per l’inserimento di un nuovo micio, una volta superato il “senso di colpa” verso chi ci ha lasciati (e resterà sempre nel nostro cuore) è la pazienza. Non aver fretta, non forzare i tempi, lasciare tutto il tempo al nuovi arrivato e ai gatti di casa di conoscersi. Per qualche giorno è consigliabile non tenerli in una stessa stanza tutti insieme, ma lasciare spazi di fuga in modo da mantenere quella che considerano la distanza di sicurezza, che non è mai la stessa ma è individuale. Quindi non saremo noi a poterla stabilire. Più che il vedersi, che è importante, dovranno catalogare i rispettivi odori e familiarizzare con essi. Io di solito uso il trucco di scambiare le copertine e le cucce dall’uno all’altro, di accarezzare un micio vicino alla bocca impregnandomi le mani del suo odore e poi accarezzare l’altro trasferendogli l’odore del nuovo arrivato. Trovo anche utili i diffusori di feromoni. Chiedete al vostro veterinario.
Non confondiamo mai il gioco, a volte anche violento, soprattutto quando si tratta di cuccioli che devono misurare la propria forza e anche i propri e altrui limiti fisici e devono esercitare i muscoli e i riflessi, con l’aggressività. Impariamo a osservarli senza apprensione, cercando di intervenire il meno possibile.
Una carissima “amica di Paco” ha passato quindici anni a tenere separati due gatti (un maschio e una femmina, che raramente entrano in conflitto) perché qualcuno le aveva detto che si sarebbero fatti del male o addirittura uccisi. In realtà non era riuscita a distinguere la sana voglia di giocare dal combattimento cruento. Che, ma raramente, si svolge per conflitti territoriali, all’esterno, e tra gatti non sterilizzati. Lasciamo, insomma, che si autoregolino, cosa che sanno fare egregiamente.
Recentemente ho trovato una tabellina che si rifà alla regola del 3/3/3 e descrive i tempi di adattamento di un gatto alla nuova famiglia: tre sarebbero i giorni “per decomprimere”, durante i quali il gatto cerca di capire che cosa stia succedendo, si sente confuso, addirittura spaventato e arriva a essere paralizzato dalla paura e nascondersi sotto i mobili, a non mangiare, rifiutare qualunque contatto con persone e animali. Tre sarebbero, poi, le settimane per imparare la nuova routine, in cui il gatto mostra ancora diverse resistenze, inizia a fidarsi ma non troppo, esce dall’isolamento e, spinto dalla naturale curiosità felina, inizia a esplorare la casa. Tre sarebbero i mesi per sentirsi parte della famiglia, finalmente a suo agio, inserito nella routine che i gatti amano tanto e che li rende tranquilli e rilassati. Magari i tempi non sono così precisi, però è pur sempre un’indicazione di massima che invita ancora una volta, alla pazienza. E alla comprensione.
Tornando a Veronica, tre settimane dopo la scomparsa di Pietro la figlia portò a casa un micetto bianco e nero, Silvestro. Per una settimana Egle e Porfirio lo ignorarono, fingendo proprio che non esistesse, evitando accuratamente di incrociare anche solo lo sguardo con il suo. Veronica era pentita, temendo che i due mici fossero arrabbiati con lei per aver portato a casa un intruso.
«Non arriveranno mai a darti la colpa per l’arrivo di Silvestro, stai tranquilla. Sono troppo presi dallo sconcerto e dal… prendersela con lui per aver osato entrare nella loro “colonia”. Adesso lo stanno studiando e se lui passerà, e sono certa che lo passerà, l’esame, tutto filerà liscio», la rassicurai.
Poi i mici più anziani iniziarono ad avvicinarsi a Silvestro facendo la strega. Fu il momento in cui le dissi; «Tra sette giorni giocheranno insieme.» Il soffiarsi era già il superamento della barriera del rifiuto e dell’indifferenza. E così fu. Il sesto giorno i mici mangiavano affiancati, e il settimo iniziarono a giocare insieme, a fare la lotta, a rincorrersi, a farsi gli agguati.
Da quasi un mese ho portato a casa una micetta e la settimana dopo un micetto dal rifugio dei Fratelli Minori di Olbia. Dopo le iniziali cautele li ho lasciati liberi per casa. Sembrava che non si sopportassero e che Otello e Cipì, i gatti di casa, non li volessero. Adesso i nuovi arrivati dormono vicini e giocano, sotto lo sguardo vigile e sornione di Otello, mentre Cipì preferisce ancora osservarli dalla sua postazione sul divano. Ma è solo questione di giorni, poi anche lei sarà della combriccola. Ne sono certa.

Diana Lanciotti

 

Se volete ricevere la rivista “Amici di Paco” e magari diventare “amici di Paco” per aiutare tanti cani e gatti senza famiglia, questo è il link: http://www.amicidipaco.it/index.php?page=sm&val=5&type=1&tc=0

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