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I FRATELLI MINORI DI OLBIA VISTI CON OCCHI DI RAGAZZI

Sul numero 78 di  Amici di Paco Diana Lanciotti, fondatrice del Fondo Amici di Paco, ha raccontato una visita al rifugio di Olbia in compagnia di giovani amici che le hanno scatenato nuove emozioni e profonde riflessioni.

Quante volte, da quel 31 dicembre 2005, dopo la scomparsa di Boris, sono stata al rifugio Fratelli Minori di Olbia? Non le conto più, ma sono diverse decine. Il motivo è più o meno sempre lo stesso: portare i preziosissimi antiparassitari di cui il rifugio fa grande consumo, visto che la media delle presenze si aggira sui 600 cani e i 250 gatti. Lo stato d’animo, invece, è ogni volta diverso, legato al momento contingente, alle cose della vita fuori da qui, ai problemi, i dolori, più raramente le gioie che questi anni pesanti ci hanno portato. Ma qualunque sia lo stato d’animo con cui arrivo al rifugio, appena le braccia di Cosetta mi accolgono e i cancelli si aprono qualunque angoscia se ne va, o comunque si mette in stand by in un angolino del cervello. E se poi, una volta fuori da lì, si ripropone, è affievolita, come se si fosse depurata da tossine superflue. Resta solo, come nel caso della scomparsa di Boris, o di Paco, o di mia mamma, o di mio papà, eventi dolorosi che hanno preceduto alcune delle mie visite al rifugio, il dolore nudo e puro. Da affrontare e, come dico io, assaporare in pieno, ma senza sovraccaricarlo di cose di poca importanza. Andare al rifugio di Olbia è come andare alla ricarica quando si hanno le batterie scariche. Ne esci ritemprato, alleggerito, più determinato a fare qualcosa per gli angeli dimenticati dietro le sbarre e gli angeli umani che se ne prendono cura.
Di questa magia che si ripete ogni volta che vado al rifugio vi ho parlato più volte su questa rivista e ne ho parlato anche con Mara, cara amica e bravissima art director della Errico & Lanciotti, l’agenzia di comunicazione fondata nel 1991 da me e mio marito, che si occupa gratuitamente della comunicazione del Fondo Amici di Paco. Un modo, per noi, di fare “volontariato” usando gli strumenti del (nostro) mestiere. Mara, che si occupa della parte grafica e dà perciò sostanza e forma alle mie idee con una sinergia e una sintonia che si sono perfezionate nel tempo, a inizio settembre è venuta in Sardegna con i due figli di 15 e 9 anni. Anche lei con un pesante fardello sulle spalle: la scomparsa dell’amatissima mamma. Sapendola e vedendola profondamente addolorata, mi sono perciò stupita quando mi ha detto: «Mi piacerebbe portare Nicole e Matteo a visitare il rifugio di Olbia.»
Stavo per chiederle ”Sicura di volerci andare?” (mi pareva già abbastanza triste senza aver bisogno di aggiungere altre tristezze) ma vedendo nel suo sguardo la determinazione che ben conosco ho capito che lei stessa si era posta la domanda e si era già risposta. Le ho solo chiesto: «Ma… i ragazzi lo sanno che là i cani sono in gabbia, e molti gatti anche? Insomma: potrebbero restare turbati.» Più che altro pensavo a Matteo, ancora tanto giovane, e al suo sorriso contagioso. Mi sarebbe dispiaciuto vederlo scomparire dalle sue labbra. «No, tranquilla. Gliel’ho detto, sanno che cosa troveranno. Sono loro che mi hanno chiesto di andarci.»
Anche perché, e questo l’ho scoperto dopo, i ragazzi avevano la segreta speranza di poter adottare un micio, pur avendone già 5 in casa. La passione di Mara per i gatti si è trasmessa ai figli, se possibile amplificandosi.
E così il 9 settembre siamo arrivati a Olbia, ognuno col proprio carico di aspettative. Io, in più, con un carico di antiparassitari e la soddisfazione di poter dire che, nonostante le difficoltà del momento, siamo sempre pronti ad aiutare i rifugi che ne hanno bisogno.
Appena siamo arrivati ci ha accolti Cosetta. Toccava a me presentare lei a Mara e viceversa e… mi sono sentita un groppo in gola e le lacrime agli occhi. Nulla di razionale, ma quel momento rappresentava la sintesi di 25 anni di “lavoro”, di impegno, di idee nate e realizzate da me e Mara per servire la causa in cui tutte e due crediamo: migliorare un pezzetto di mondo, partendo dal rapporto tra l’uomo e le altre creature. Poi ho portato Mara, Nicole e Matteo a visitare il rifugio. Ero un po’ timorosa che non reggessero nel vedere tanti animali rinchiusi, con brutte storie alle spalle. È vero, come dico sempre, che qua non vedi cani tristi, abbacchiati, rassegnati. Però sono pur sempre cani che non hanno una famiglia con cui condividere una casa, le coccole, serate davanti al camino, passeggiate, giochi. Affetto.
Come sempre avevo con me la mia Nikon, la mia ancora di salvezza, il mio scudo per proteggermi dal dolore di vedere tutti quegli animali privati di una famiglia da amare. Ogni tanto smettevo di fotografare per sbirciare le reazioni di Mara e dei ragazzi. Un misto di stupore, incredulità, tenerezza, commozione. A un certo punto Matteo ha detto basta. Andiamo fuori. Non ce la faceva più. La sua mente di bambino sensibile aveva già immagazzinato abbastanza immagini per farsi un’idea di che cosa significa abbandono e cosa significa amare ma non essere amati. E per cancellare l’angoscia che stava montando li ho portati in una delle casette dove stanno i gatti che arrivano a getto continuo perché parlare di sterilizzazione sembra un capriccio da animalisti, anziché una necessità per evitare un randagismo così diffuso. Forse qualcuno dà per scontato che persone come Cosetta, Marco, Antonietta e tutti gli altri debbano impiegare le loro energie per rimediare alla crudeltà o alla leggerezza altrui. E lì, in quella casetta, gli sguardi di Nicole e Matteo si sono incrociati con lo sguardo già adorante di una gattina, salvata coi suoi fratellini dalla furia omicida di un folle. Ora Coco è a casa di Mara e, come dice Matteo, “almeno una l’abbiamo salvata”.
Matteo, che una volta a casa ha voluto rappresentare con un disegno le emozioni di quell’indimenticabile esperienza.
Ecco invece le parole scritte da Nicole a testimonianza di quella bella giornata:

Venerdi 9 Settembre ho avuto la possibilità di visitare il gattile/canile Fratelli Minori di Olbia, con 600 cani e 400 gatti abbandonati e per loro fortuna salvati da turisti o volontari. Alcuni venivano maltrattati, altri erano per strada e non mangiavano da giorni.
Ma cosa provano questi animali quando vengono abbandonati? L’abbandono per loro è un trauma, porta con sé una cicatrice gigantesca, non si dovrebbe abbandonarli perché significa quasi sicuramente condannarli a morte; molti finiscono uccisi o feriti dalle auto e altri possono diventare anche un pericolo serio per gli automobilisti.
Le stime dicono che ogni anno in Italia vengono abbandonate migliaia di cani e di gatti, più dell’80% dei quali rischia di morire.
Sto scrivendo queste righe accanto alla mia Coco, un’adorabile gattina adottata proprio in occasione della mia visita al rifugio Fratelli Minori. La sua storia è particolare: un pastore voleva uccidere lei con la sua mamma e i suoi fratelli, ma dei turisti che portavano acqua e croccantini tutti i giorni li hanno salvati e portati al sicuro da Cosetta.
E lì, acquattata in semiombra nell’angolo di una gabbietta, in un caldo giorno di Settembre, c’era lei, la dolcissima Coco, che mi guardava un po’ spaventata coi suoi bellissimi occhioni. Io e mio fratello Matteo siamo rimasti incantati da lei e abbiamo convinto la mamma ad adottarla e oggi fa parte della nostra famiglia con altri 5 gatti. Lei è stata fortunata, ma anche io lo sono: ho potuto vedere e capire cosa significa “abbandono” e nel mio piccolo ho potuto fare qualcosa per combatterlo.
Grazie di cuore a Diana per la bellissima esperienza e a Cosetta e ai volontari per tutto l’amore che abbiamo visto nel loro rifugio.
Nicole

Grazie a voi, ragazzi, che mi avete fatto vedere il rifugio con i vostri occhi buoni e gentili.

Diana Lanciotti – Amici di Paco n° 78 – Ottobre 2022

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