MAMMA STORNA (giugno 2009)

“Mamma storna”. Una storia incredibile ma assolutamente vera (con tanto di foto che lo dimostrano)

Ed eccola arrivata al suo dodicesimo libro. Dopo la quadrilogia, amatissima, di Paco, l’ex re della strada adottato al canile e diventato il (compianto) simbolo di tutti i cani abbandonati e il testimonial del Fondo Amici di Paco, associazione piccola ma attivissima e concretamente impegnata a migliorare le condizioni di vita di tutti i cani e i gatti, dopo tre acclamatissimi romanzi, dopo tre libri fotografci e dopo il capolavoro (è una mia definizione, mi prendo tutte le responsabilità, ma vi assicuro che non ho mai letto un libro tanto toccante e vero) “Boris, professione angelo custode”, dopo una raccolta di racconti sui gatti, Diana Lanciotti, inimitabile scrittrice di libri sugli animali ma anche romanziera di grande successo, arriva in libreria per l’estate con un libro… incredibile. Sì, credo che sia l’aggettivo più appropriato (se vogliamo scartare i più banali ma comunque veritieri “splendido”, “straordinario”, “strepitoso”) per definire Mamma storna, un libro insolito, stupefacente, che non si può leggere senza esserne trascinati e colpiti fino in fondo al cuore. Lo ammetto, sono una fan sfegatata di Diana Lanciotti, e potrò apparire esagerata in questi giudizi, ma vi assicuro che sono in tanti a pensarla come me. Lo testimoniano le migliaia di libri venduti e le lettere che Diana riceve ogni giorno dai suoi ammiratori.

Sei instancabile, Diana: ci hai appena regalato il grande Red Devil e adesso stai già per andare in libreria con questo nuovo libro.
In realtà nella sua prima stesura il libro era già pronto da fine settembre. Trattandosi di un diario, l’ho scritto giorno per giorno, durante tutti i 42 giorni durante i quali è durata la storia. Dovevo solo riorganizzare il tutto, e soprattutto “staccarmi” un po’, mentalmente ed emotivamente, da una vicenda che mi ha coinvolta in modo… esagerato.

Com’è nata, la storia?
Oh, in modo semplicissimo: un uccellino caduto dal nido, io che non avrei scommesso un centesimo sulla sua sopravvivenza…

Per fortuna che non hai scommesso… L’assurdo è che l’artefice della sua sopravvivenza sei stata proprio tu, tu che non ci credevi.
Sì. Per un po’ (molto poco, a dir la verità) non ci ho creduto. Tutti mi dicevano che non ce l’avrebbe fatta. Ma mi sono bastati due giorni per capire che il tipetto era tosto e non me ne sarei liberata tanto facilmente.

Nonostante fosse la prima volta che “allevavi” un uccellino.
E mai avrei pensato che potesse succedere. Ma la vita è strana. Del resto prima del 1992 non avevo mai messo piede in un canile, e mai avrei pensato di adottare un cane abbandonato… Mai dire mai…

Appunto. Tu dici di non aver mai avuto particolare feeling con gli uccellini.
In effetti prima di Oreste non avevo mai nemmeno sfiorato le penne di un uccellino. Un po’ per… ribrezzo, lo ammetto, un po’ per timore. Ma Oreste mi ha fatto superare qualunque ritrosia. Ho scoperto che averlo sul polso o in grembo a fare le nanne era di una tenerezza…

Tu però pensavi solo di salvarlo e liberarlo al più presto, non di conviverci per tanto tempo…
In effetti l’intenzione era quella. Ma era un’intenzione solo mia. Lui non voleva mai andarsene. Ho fatto di tutto, lottando anche contro l’amore materno che ormai provavo per lui, per restituirlo alla sua vera natura di animale selvatico. Ma lui voleva stare solo con me.

Era imprintato a te.
Completamente, mio malgrado. Credo che sia successo da subito. Già dopo un giorno mi considerava la sua mamma e appena mi vedeva apriva il becco per farsi imbeccare.

Ma c’è voluta una settimana perché tu te ne rendessi conto.
Eh, sì, è stato quando l’ho fatto uscire dal suo scatolone/nido. Mi aspettavo che volasse via, o avesse paura. E invece mi è salito sui piedi.

E lì ti ha conquistata.
E lì ho scoperto che non mi faceva nessun ribrezzo, e nemmeno paura. È stato lì, credo, che tutte le mie difese sono crollate. Fino allora mi ero trincerata dietro il mio “essere un’umana” che non ha motivi per interagire con un appartenente a una specie tanto diversa da noi, e per di più non domestica.

Che cosa ti ha insegnato, questa storia?
Che non bisogna mai avere pregiudizi, che bisogna essere aperti alle meraviglie che questo mondo, di cui siamo solo coinquilini con altre specie, può riservarci ogni giorno.

Che cosa vorresti che insegnasse agli altri?
Le stesse cose che ha insegnato a me: che anche in un piccolo essere c’è tutto un mondo bellissimo da scoprire, e che è possibile capirsi, interagire e amarsi anche tra specie tanto diverse. E vorrei che la caccia fosse abolita. Totalmente. Non ha senso. È una barbarie spacciata per sport.

Se ti capitasse di salvare un altro uccellino, lo rifaresti?
Guarda… spero che non succeda. È stata un’esperienza talmente totalizzante, coinvolgente, che non potrebbe ripetersi e non vorrei nemmeno che si ripetesse. Finirei per fare i confronti. E magari anche gli stessi errori.

Ad esempio?
Legarmi troppo a un altro essere e far sì che lui si leghi tanto a me, da non saper più che farne della propria libertà. Da non saper affrontare il mondo da solo. Però, se succedesse anche domani, so che lo rifarei…

Vorrei concludere, Diana, augurandomi che questo libro venga adottato anche nelle scuole, così com’è successo a Paco, il Re della strada. Lo meriterebbe.

Paola Cerini – Amici di Paco 43, giugno 2009