Scrittura
“ON WRITING”
Cara Diana, scusami il tu, ma ho letto tutti i tuoi libri e ti considero un’amica di lunga data. Ho notato nella tua scrittura una crescita e una profonda maturazione. Anche a me piace scrivere anche se non posso paragonarmi a te, però vorrei chiederti se hai frequentato in questi anni qualche corso di scrittura creativa o fatto letture sull’argomento. So che ci sono tanti manuali di scrittura creativa, alcuni li ho anche acquistati ma vorrei sapere da te se ce n’è qualcuno che consideri migliore degli altri.
Ti ringrazio tanto e ti faccio tantissimi complimenti per la tua attività di scrittrice e per il tuo impegno a favore degli animali
Luisa F.
Cara Luisa, grazie per i complimenti che sono sempre tanto graditi. Il problema dello scrittore è, purtroppo, di non essere in continuo contatto con i suoi lettori e di non sapere se coglie nel segno con i suoi libri.
Mi fa piacere che tu noti una maturazione nella mia scrittura. I motivi sono diversi. Innanzitutto “fisiologici”: andando avanti con l’età aumenta il bagaglio d’esperienza a cui attingere per raccontare le proprie storie.
E poi l’esprerienza di copywriter in agenzia mi ha portata, nel tempo, a “ripulire” la mia scrittura, a eliminare crerte ridondanze e a cercare l’essenzialità, la sintesi.
Poi, ancora, negli anni ho smesso di leggere (e leggo davvero tanto, di tutto) da “semplice lettrice”, ma ora leggo sempre con “occhio clinico”, cercando di imparare come si fa, ma anche come non si fa, chi ha più esperienza di me.
Poi nel tempo, grazie al cielo, sono riuscita a ritagliarmi spazi sempre maggiori da dedicare alla scrittura. Ero partita da poche ore rubate al lavoro una volta ogni tanto. Quando stavo scrivendo “C’è sempre un gatto” passavano anche mesi senza che riuscissi a riprendere in mano il libro, ma per fortuna, trattandosi di racconti, non ne risentiva più di tanto. Il problema sarebbe stato se si fosse trattato di un romanzo, in cui la fluidità della trama e della scrittura sono essenziali.
E difatti il problema si è presentato proprio con “Paco, il Re della strada”, un libro iniziato due anni prima e finito due anni dopo. Il lavoro di direttore creativo della mia agenzia mi assorbiva tantissimo e non potevo certo dire ai clienti di aspettare perché io avevo un libro da finire. E secondo me si nota una differenza tra la prima metà (scritta in un anno e poi lasciata lì per mesi) e la seconda. Ho fatto davvero fatica a riannodare i fili del discorso. Con “Paco. Diario di un cane felice”, scottata dall’esperienza precedente, mi sono imposta di lavorarci almeno 2 ore per tre giorni la settimana. Ho evitato lunghe interruzioni e il libro gode di una maggiore unitarietà.
Con “Black Swan” ho modificato totalmente il mio modo di scrivere e qui, e così rispondo in parte alla tua domanda, devo ringraziare Stephen King. E’ uno scrittore che scrive un genere, il noir, che non amo. Però ho letto, anzi bevuto pagina dopo pagina “On writing”, il suo bellissimo libro in cui parla di sé come scrittore e dà consigli preziosissimi a chi vuole scrivere.
Come dici tu ci sono tanti manuali di scrittura creativa, ma sono tutti piuttosto pizzosi e, a volte, presuntuosi. Invece King ha scritto un libro sincero, calandosi umilmente nei panni dell’ “artigiano della scrittura” e io, con altrettanta umiltà, l’ho ascoltato e ho provato ad applicare i suoi insegnamenti. Il risultato, a mio avviso, è stato positivo.
Se ti piace scrivere, leggi senz’altro “On writing”. Io l’ho trovato straordinario e mi ha aperto la mente.
Per quanto riguarda “Black Swan”, ho fatto mio l’insegnamento per me più importante di Stephen King: ho smesso di considerare la scrittura un’arte, ma ho incominciato a vederla come “lavoro artigianale” o comunque un lavoro come un altro, che richiede costanza, applicazione, sacrificio. Mi sono messa ogni giorno alla scrivania per otto o dieci ore, festivi compresi, e in 4 mesi avevo finito la prima stesura. Poi l’ho lasciato decantare per un mese e nei successivi 5 mesi l’ho riscritto almeno 6 volte e riletto almeno 20.
Sono convinta che la scrittura richieda ispirazione ma, dopo, sia tutto un lavoro… di braccia. Non lasciarti fuorviare da chi dice che scrive solo quando ha l’ispirazione. L’ispirazione basta una volta ogni tanto, ma ogni giorno dobbiamo darle corpo scrivendo, cancellando e riscrivendo.
Ti faccio tantissimi auguri
Diana
RACCONTI DA VISIONARE
Cara Diana, sono Giusi e insieme alla mia cagnetta Diva ti ho scritto varie volte sulla “posta di Paco” sul sito www.amicidipaco.it per complimentarmi per il libro stupendo che è Black Swan.
Ho anche letto i tuoi altri libri e anche se diversi li ho trovati comunque bellissimi e scritti in modo sublime. Che tu parli di animali o di persone sai toccare le corde del cuore e farle vibrare come in una musica.
Da qualche anno ho nel cassetto alcuni racconti autobiografici su avvenimenti a me cari e vissuti personalmente, forse pochi per farne un libro, ma potrei sempre riprendere in mano la penna per scriverne altri… solo se… sapessi che ne vale la pena.
Ma come faccio a saperlo? Li ho fatti leggere a mia madre, ai miei fratelli, a una cara cugina (credo che tutti facciano così) e tutti mi hanno detto che sono belli e scritti bene e farei bene a pubblicarli. Ma onestamente non so se posso realmente fidarmi dell’obiettività del loro giudizio, anche se mi ha lusingato.
Per questo ti scrivo. So che hai tanto da fare, con i tuoi libri, con la Paco Editore, con il Fondo Amici di Paco ma se tu riuscissi a trovarne un poco per dare un’occhiata ai miei racconti saprei se andare avanti o richiudere il cassetto e non aprirlo più.
Scusami se ne approfitto, ma sei l’unica scrittrice e l’unico direttore editoriale con la quale sono entrata in contatto (gli altri sono tutti inavvicinabili) e oltre ad ammirarti tanto penso che tu sia ua persona molto disponibile.
Ti ringrazio e se me lo permetti ti abbraccio
Giusi
Cara Giusi, ti ringrazio per la tua lettera e ricordo con piacere ogni complimento che mi hai fatto sul sito di Paco.
Per quanto riguarda la tua richiesta, devo precisare che non sono io a selezionare i libri che ci vengono proposti, ma una commissione di lettori. Solo se il parere è positivo subentro io per la valutazione finale. Dopo alcuni sbagli commessi in passato proprio per… eccesso di disponibilità, quando la simpatia o l’amicizia per le persone mi aveva portato a prendere in esame libri che si sono poi rivelati impubblicabili (e poi mi sono sentita rimproverare e ho perso delle amicizie) per serietà, e per non sentirmi tirare la giacchetta dalla parente o dall’amica dell’amica che vuole essere pubblicata, passo tutto al vaglio dei consulenti editoriali che del resto hanno molta più esperienza di me.
Purtroppo i nostri tempi sono lunghi, ma ti assicuro che anche le case editrici più importanti di noi si prendono dai 6 ai 12 mesi per dare una risposta (ammesso che la diano).
Con quanto dico non voglio scoraggiarti, ma semplicemente farti conoscere la nostra realtà.
Per quanto riguarda far leggere i racconti a parenti e amici, è normale, molti lo fanno. Però (non dico che sia il tuo caso, per carità) a volte si tratta di un pubblico un po’ troppo di parte e perciò o eccessivamente indulgente o, al contrario, ipercritico.
Va bene, quindi, sentire “a caldo” le loro reazioni, soprattutto per evitare svarioni nella trama che magari a chi scrive sfuggono, ma saltano subito all’occhio di chi legge. Fai perciò tesoro di quanto ti dicono, però fai sempre la tara e riservati di richiedere giudizi di persone competenti ma estranee.
Anch’io, sai, faccio leggere i miei libri in prima stesura a mio marito, e in seconda ai miei genitori, tutti forti lettori. Però poi non mi crogiolo nei giudizi positivi, ma ci do dentro di lima e scalpello, finendo a volte per stravolgere completamente il testo, tanto che quando poi se lo rileggono stampato e pubblicato stentano a riconoscerlo.
Mi permetto però un’osservazione riguardo la tipologia di racconti: sono del parere che il taglio autobiografico spesso ne limiti l’interesse da parte di un vasto pubblico. E purtroppo, quando si va su argomenti personali si rischia di andare troppo sull’autobiografico e, a meno che non si sia un personaggio (ahimé) già noto, il rischio è di precludersi la possibilità di rivolgersi a un pubblico da libreria.
Mi è capitato più volte (ma spero che non sarà il caso tuo) di consigliare a un autore, per non sprecare il proprio impegno, di trovare un tipografo locale che stampi il suo libro, magari in digitale, in un certo numero di copie (per poterlo utilizzare per vendita o regalo), senza andare sulle grosse tirature a cui è costretta una casa editrice.
Come ti dicevo, non voglio scoraggiarti, ma vorrei che tu affrontassi questa esperienza con il dovuto realismo. Se poi saranno rose… farò di tutto per aiutarti a farle fiorire copiose e profumatissime.
E in ogni caso, se ti piace scrivere, se ti dà emozioni e ti fa star bene, non smettere mai, anche se non dovessi venire pubblicata. La scrittura è una forma eccelsa di evasione oltre che di evoluzione e va coltivata, anche solo per se stessi.
Un caro saluto
Diana