Tifo da… guerra

Odio la guerra. È una frase di una banalità inaudita, lo ammetto, però è ciò che provo da sempre. Non sopporto nemmeno i film di guerra. La violenza, persino nella finzione cinematografica, mi repelle. Lo so, anche questo è banale. Potrei definirmi pacifista, se non fosse che odio le etichette e le classificazioni in compartimenti stagni. Del resto odio anche la definizione di animalista, io che mi occupo di tutela degli animali da 25 anni. Odio i fanatismi, che spesso si ritrovano proprio in queste categorie che discriminano il mondo, dividendolo in bianco e nero, bene e male, buoni e cattivi. Ho un rifiuto tale per l’idea della guerra, che non mi sono mai occupata dei conflitti che, anche ai tempi nostri, lacerano il nostro mondo. Forse perché geograficamente lontani (Afghanistan, Siria, Libia). Ma che io odi la guerra e di conseguenza non me ne occupi, nemmeno come giornalista, non significa che la guerra non ci sia. E ora scopro che non solo c’è, ma c’è da almeno otto anni, non lontano da noi, in Ucraina, e ha visto morire qualcosa come 14.000 persone. Quasi mai nessuno ne ha parlato, e per saperne qualcosa bisognava cercare le notizie, mica te le davano con la dovizia con cui te le scodellano da qualche giorno a questa parte. Viviamo nell’epoca in cui se un fatto non va in tv o sui giornali non esiste, non è avvenuto. Invece là la gente moriva, nel silenzio generale, via dalle luci della ribalta. Ora però sto cercando di uscire dalla mia ignoranza e sto approfondendo l’argomento per capire perché, mentre tre mesi fa potevo scrivere (v. https://www.dianalanciotti.it/la-terza-guerra-mondiale/): “Per anni siamo vissuti con lo spauracchio di una terza guerra mondiale, che si pensava sarebbe arrivata per le smanie di supremazia russe e americane. E invece persino quelli si sono messi tranquilli e così, anche se guerre in giro per il mondo ce ne sono sempre (fa parte del DNA umano), noi popoli occidentali ci siamo adagiati in un lungo periodo di pace” ora siamo a un passo dalla terza guerra mondiale. Così, tutto d’un colpo? Com’è possibile? Putin si è svegliato una mattina con la luna storta e ha deciso che invece di andare a sparare alle quaglie si sarebbe eccitato di più a sparare agli Ucraini? Oppure è semplicemente saltato il coperchio del pentolone in cui il minestrone sobbolliva da tempo? Non può scoppiare la guerra se entrambe le parti non lo vogliono. La preparazione, lenta e silente, c’è stata. Solo che ora vogliono farci credere che tutto sia nato un bel dì perché, appunto, a Putin è saltata la mosca al naso. Mica perché da anni gli danno martellate sugli alluci, e lui alla fine si è stancato. Che poi per dimostrare il fastidio abbia deciso di usare le armi e scatenare la guerra (o forse sarebbe il caso di dire “assecondare” una guerra voluta da altri) è assolutamente condannabile. Perlomeno da me e da tutti coloro che, come me, di politica internazionale ci capiscono poco e fanno presto a dire che no, non si fa così. Viecce te, direbbe qualcuno. Non amo le prese di posizione tout court, perché quasi mai la verità è da una sola parte. È banale, lo so, ma è vero. Mi occupo di comunicazione da quasi 40 anni e, per mia sfortuna (non è poi così comodo continuare a farsi domande, voler vedere cosa si nasconde dietro le facciate, anziché accontentarsi della versione ufficiale e aderire obbedienti al Pensiero Unico Dominante…), ho affinato il senso della diffidenza: quando tutto il racconto va verso una sola direzione, vado a cercare orme di verità anche nella direzione opposta. Anche stavolta, come già fatto con la vicenda del Covid, in cui si era o provax o novax e tutti contro tutti, si è da una parte o dall’altra: antiPutin o filoPutin. O, come qualcuno ha detto: putinisti o antiputinisti. Scegliete voi in quale categoria stare. Io non sto in nessuna delle due, perché credo che ci sia sempre la possibilità di non schierarsi a tutti i costi, ma analizzare la realtà con obiettività invece di dividersi come tifosi allo stadio. Ormai la versione ucraina la conosciamo a menadito. Ce la danno e ridanno da giorni a reti e a pagine unificate: ogni quotidiano sembra la fotocopia dell’altro (ma sai che risparmio, coi tempi bui a cui andremo incontro?) e ogni tg e ogni talk show sono tutti concentrati a spiegare le ragioni dell’Ucraina. Ma, di grazia, qualcuno vuole favorirci anche la versione russa? Esiste ancora qualche giornalista che riesca a essere obiettivo, a fare indagine, a studiare la storia e la geopolitica? Io ci sto provando ma non è facile, credetemi, districarsi nel dedalo di informazioni pilotate, omologate, dove un’opinione o un fatto che si discosti dal racconto ufficiale lo devi cercare e lo stesso non lo trovi. Pare che alcuni editori e alcuni conduttori, come già con i presunti “novax”, banditi dalle interviste o invitati in tv solo per essere sviliti e derisi, abbiano già promulgato un editto contro coloro che osino portare una voce fuori dal coro e anche solo azzardare che, forse, ma dico forse e sottolineo forse, non tutte le colpe vanno addossate a Vladimir Putin. Sto cercando nel labirinto e ogni tanto trovo qualcosa che mette perlomeno in dubbio il racconto ufficiale. E, anche su gentile segnalazione di chi apprezza il mio approccio super partes, trovo documentazioni e testimonianze che mostrano un’altra faccia della medaglia. Ad esempio “Ukraine on fire”, un documentario prodotto da Oliver Stone che sviscera la vicenda ucraina collocandola nell’adeguato contesto storico e geografico, ricostruendo le tappe della crisi, dalle proteste popolari che hanno portato a traumatici cambi di governo, alla guerra civile nel Donbass, all’occupazione della Crimea da parte della Federazione Russa. Oppure l’articolo di Tgcom24  in cui si indagano i rapporti tra Stati Uniti e Ucraina, e si scopre che Biden, che durante la presidenza Obama curava la politica internazionale, si adoperò a favorire l’avvicinamento dell’Ucraina alla Nato per togliere potere politico ed economico alla Russia. E che, anche per via del figlio che pare fosse invischiato in traffici poco chiari, nutra un odio mortale nei confronti di Putin, tanto da averlo definito, un anno fa, “assassino”. Alla faccia della diplomazia, e come se volesse mettere le carte in tavola e dichiarare la chiusura totale dei rapporti pacifici con la Russia. La guerra spesso è fatta anche di parole, o sono le parole a scatenarla. Perciò sono tanto importanti. “I rapporti con Putin non sono mai stati sereni. I biografi americani parlano di un odio tra i due” leggiamo nell’articolo. Lo si potrebbe catalogare come gossip, detto così, ma è chiaro che è un odio basato su interessi politici ed economici e su visioni dello stato insanabilmente inconciliabili. Gli stessi che probabilmente hanno portato all’attuale confitto, dove come al solito sono in gioco potere e denaro. Altro che motivi umanitari. Del resto non si sa da oggi che gli Stati Uniti sono la nazione storicamente più avvezza a far la guerra, anche dove e quando uno potrebbe chiedersi “E che c’azzeccano gli Americani”? Cosa c’entravano, infatti, gli Americani in Corea? In Vietnam? In Cambogia? In Afghanistan? In Iraq? Ah, già ma là erano certissimamente certi di trovare armi di distruzione di massa, che giustificassero la deposizione di Saddam. Che non era uno stinco di santo, ma forse era meglio lasciarlo dov’era. Si è visto, no, cos’ha portato l’intervento americano? Alla presa del potere da parte degli integralisti e all’escalation del terrorismo. E, ancora, cosa c’entravano gli Americani in Somalia? In Bosnia? In Kosovo? In Siria? Nello Yemen? In Pakistan? (v.  link per trovare l’elenco delle azioni militari condotte dagli Usa dal 1945 a oggi). Gli Americani sono quelli che hanno massacrato gli Indiani d’America, e ci hanno fatto credere che fossero dei sanguinari selvaggi da annientare, tanto che nei western ti dispiacevi di più a veder morire un cavallo che un Indiano. Sono quelli che si sono massacrati tra di loro per mantenere l’umana usanza della schiavitù. E però pretendono sempre di dare lezioni di democrazia al mondo. E, ora, che c’entrano gli americani con l’Ucraina? C’entrano, c’entrano sempre. Visto che per loro la guerra è un centro di gravità permanente, il modo più facile per ripianare l’economia in crisi, per creare o recuperare consensi. Ricordiamoci che tra otto mesi ci saranno negli USA le elezioni di metà mandato e sappiamo che Biden traballa da un po’. Non solo il suo stato mentale, palesemente alterato, ma anche la sua leadership. Quale miglior esempio muscolare di dimostrare agli Americani e al mondo che l’America è ancora il regolatore degli equilibri internazionali? Non solo. La guerra è sempre stata usata dagli Stati Uniti per stampare nuova moneta con la scusa di finanziare le spese militari e, come dicevo, dare nuova linfa all’economia interna (v. link). In quest’altro interessantissimo articolo, che ho rintracciato fortunosamente nelle pieghe del web, si ipotizza infatti che il conflitto garantirebbe “un relativamente alto livello di controllabilità degli eventi ma anche un allarme di lungo termine che giustifichi spese strategiche su un periodo indefinito”. Come dire che, più dura la guerra, più si pompa ossigeno nell’economia statunitense. Per dirla in soldoni (appunto): serve per fare fatturato. Non solo: ricordiamoci che gli USA, con l’avvento di Biden, hanno ritirato le truppe dall’Afghanistan (dopo averlo “salvato” l’hanno mollato di nuovo al suo destino, incuranti del disastro che ne sarebbe seguito, a conferma di quanto i “salvatori del mondo” abbiano a cuore le sorti degli esseri umani). E ora che stiamo forse capendo quali siano le leve che spingono a un interventismo sempre così sollecito da parte americana, il dubbio è che venendo a mancare l’impegno in Afghanistan, e perciò tutto l’indotto delle spese in armamenti, ci sia bisogno di un altro conflitto, che più dura e meglio è. E se qualcuno spera che i negoziati tra Russia e Ucraina che sono in corso non siano solo una pantomima temo rimarrà deluso. Ora Ursula von der Leyen, la strega messa a guidare l’Unione Europea, si vanta che per la prima volta l’UE fornirà armi per appoggiare una nazione in guerra. Che, guarda caso è l’Ucraina, e guarda caso non è nella UE e neppure nella Nato. E mentre loro vogliono trascinarcela, Putin non vuole. Le va a ruota ovviamente Mario Draghi, a sua volta burattino messo lì per eseguire gli ordini dei padroni di oltreoceano, che stanzia soldi e soldati da mandare in Ucraina al comando dell’onnipresente e onnifacente generale Figliuolo. A dimostrazione che il popolo ormai non conta un fico secco (ma ne avevamo da tempo il vago sentore…) e che basta un decretino per decidere di entrare praticamente in guerra contro una delle più grandi potenze mondiali. Dalla quale, grazie ai governi cicala incapaci di guardare oltre il proprio ombelico, siamo totalmente gasdipendenti. Ma noi ora le dichiariamo guerra, fornendo soldi, armi e truppe al suo nemico. Complimenti per la strategia. Del resto, da una parte dipendiamo dalla Russia per le forniture energetiche, dall’altra siamo praticamente una colonia degli Stati Uniti, occupati dalle loro basi militari (la nostra posizione geografica ha sempre fatto gola, e la conquista dell’Italia è sempre stata ed è tuttora nelle mire di tutti), e qua non si muove foglia che Biden (e chi c’era prima) non voglia. Per abbracciare il modo di vivere americano abbiamo rinunciato alla nostra cultura, ai nostri valori, alla nostra identità, alla nostra stessa libertà. Ci siamo talmente intrisi di americanismo da sentirci sempre secondi e secondari, pronti a scattare e ringraziare come tanti cagnolini addestrati. E ora ci troviamo coinvolti in una guerra che a noi porterà solo disastri. Come aveva del resto preconizzato Giulietto Chiesa (v. link), con il quale mai avrei pensato di trovarmi in sintonia. Ma l’intelligenza e l’onestà intellettuale sono trasversali. Io sono l’ultima arrivata su queste cose, che non ho mai seguito ma ora mi tocca seguire da quando qualcuno ha deciso che dall’attenzione ossessiva per la crisi pandemica si deve passare all’attenzione per la crisi … Leggi tutto Tifo da… guerra