Una voce fuori dal coro… biografia di un’indipendente a oltranza (giugno 2016)

Ogni volta che esce un suo nuovo libro (siamo arrivati a sedici e circola voce che il diciassettesimo non si farà attendere molto), mi piace ricordare la definizione che diedi di lei in occasione dell’uscita de La gatta che venne dal bosco (di cui avevo previsto il grande successo, non solo tra i gattofili): “autrice unica nel panorama letterario italiano per l’originalità e l’eterogeneità delle sue opere”. In effetti Diana Lanciotti, famosa per essere scrittrice ma anche fondatrice del Fondo Amici di Paco, l’associazione che da vent’anni ha cambiato l’atteggiamento verso gli animali, ogni volta ci sorprende con temi diversi: dopo una serie di libri dedicati agli animali, a partire dalla famosa trilogia di Paco, si è fatta conoscere come romanziera (con quattro romanzi d’amore e avventura, che l’hanno fatta conoscere anche a chi non segue la letteratura “animalista”), quindi come fotografa (con tre libri fotografici dedicati ai suoi “musi ispiratori”), quindi come giallista (con l’originalissimo La vendetta dei broccoli, “giallo vegetariano” che ha aperto un dibattito molto vivace sulle scelte alimentari, operando delle vere e proprie… conversioni); e, più recentemente con L’esperta dei cani, titolo volutamente provocatorio scritto per dissipare la nebbia che avvolge il mondo dell’educazione cinofila. Insomma, sedici libri che dimostrano un eclettismo che difficilmente si riscontra in campo letterario. Un eclettismo che permea tutte le iniziative di una donna capace di spaziare da un campo all’altro con estrema facilità, facendo sembrare semplici anche le questioni più complesse. In un mondo abituato a catalogare e racchiudere fatti e persone in piccoli schemi, Diana sfugge a qualunque classificazione. È il classico spirito libero che, se da una parte attira grandi consensi, dall’altra scatena le critiche da parte di chi non concepisce l’esistenza di persone che mantengono la propria indipendenza mentale e morale. È successo anche in occasione del suo libro L’esperta dei cani, un libro diverso dai soliti trattati “fumosi” scritti da educatori cinofili o pseudoesperti che hanno tutto l’interesse a far credere che l’educazione cinofila sia una branca per pochi eletti: dai più è stato salutato come una guida utile e alla portata di tutti per migliorare il rapporto tra uomo e cane; alcuni l’hanno invece preso come una… invasione di campo… Ma come, si chiedono i guru dell’educazione cinofila, questa qua si permette di dire a noi, depositari della “Verità”, che cosa bisogna fare per educare i cani? Così sono partiti gli attacchi per cercare di minare la credibilità di una persona super partes, non schierata da una parte o dall’altra, ma solo a favore degli animali e delle persone che li amano e che, nella confusione che permea il mondo della cinofilia, hanno bisogno di indicazioni chiare e pratiche per non perdersi. Del resto c’era da immaginarselo, in un mondo come quello della cinofilia diviso da contrasti tra chi segue una scuola di pensiero e chi l’altra. «Un mondo», come dice Diana, «in cui più che di fare il bene degli animali ci si preoccupa di fare il male dell’avversario.» Tanto da farle scrivere: “Qualcuno mi aveva avvisata, quando ho scritto L’esperta dei cani: «Attenta che ti cacci in un ginepraio: gli educatori cinofili sono sempre lì a farsi la guerra, ognuno vuole il primato e pur di denigrare la concorrenza sono disposti a barare. Se ti prenderanno di mira ne vedrai delle belle»” Profezia che si è avverata a pochi mesi dall’uscita del libro, come ha raccontato la stessa Diana sul suo sito nell’editoriale Per favore non chiamatemi animalista/3 ovvero: il trappolone dei “gentilisti”… (v. https://www.dianalanciotti.it/per-favore-non-chiamatemi-animalista3-ovvero-il-trappolone-dei-gentilisti/) Ed è da lì che voglio partire, e lo faccio con una provocazione. Allora, Diana, secondo quanto scrivono questi signori tu saresti… sostenitrice del collare a strozzo. Dai, Paola, non provocarmi, sennò sai che mi arrabbio… (ride) Scherzo: ormai non mi arrabbio più. Certo che mi pare un po’ riduttivo che da un libro di quasi trecento pagine, dove il collare a strozzo è citato una volta, e neanche da me, qualcuno arrivi a dire che… la Lanciotti è quella del collare a strozzo! Tu dici riduttivo, e sei gentile. Io lo definirei subdolo e da persone in perfetta malafede. Sì, ma era inevitabile. Tu stessa l’avevi previsto, insieme a Simona (l’addetta stampa di Diana e del Fondo Amici di Paco, n.d.r.): a entrare in un campo minato si finisce per far saltare qualche mina. Noi avevamo parlato di ginepraio, se ricordi… Scherzi a parte: non è la prima volta che qualcuno cerca di screditare il tuo operato appiccicandoti quelle etichette che tu tanto odi, anche perché conoscendoti bene non sei persona che si presta a essere etichettata. Perciò stavolta vorrei incentrare l’intervista su “chi è Diana Lanciotti”, sulla tua libertà di pensiero che per alcuni è un concetto difficile da comprendere. Vorrei parlare di te e della tua storia di donna libera e individualista, che non rientra negli schemi cari a chi adora livellare per non doversi impegnare a capire e ragionare con la propria testa. In effetti per qualcuno è più comodo usare la testa degli altri, usare idee preconfezionate invece che crearsene di proprie. In ogni caso a scatenare gli attacchi è il fatto che Valeria Rossi, una delle più famose, se non la più famosa, educatrici cinofile, ha scritto un editoriale in cui parla benissimo del mio libro. La tua vita è tutta imperniata sul valore della libertà. Rispetto della libertà degli altri, ma anche della tua: libertà di pensare ed esprimere ciò che la tua testa ti dice, non quello che gli altri vorrebbero farti dire o pensare. Tutta la tua vita è la storia di una donna che non accetta limitazioni alla sua libertà di pensiero, che ha fatto dell’indipendenza intellettuale una bandiera. Ancora da quand’eri piccola… Ce lo racconti? In effetti credo che il mio spirito libero (per qualcuno ribelle) e il mio accentuato individualismo siano nati con me e si siano manifestati precocemente, tanto da spiazzare, per un po’, i miei stessi genitori. Io ero quella che giocava con le macchinine e le pistole, mentre mia sorella e le amiche giocavano con le bambole. Quando poi è stato il momento di andare a scuola, volevano costringermi a fare ore di esercizi di aste e puntini… ma io lo trovavo una noia mortale e soprattutto non capivo il legame tra le parole che mi mostravano nei libri e le aste e i puntini che, a loro dire, mi avrebbero aiutata a imparare a scrivere. Ma io pensavo: se le parole (bellissime… già allora mi affascinavano) erano piene di curve, di legami, di segni misteriosi, a che cosa serviva riempire un quaderno di segni rigidi e inespressivi? Ribelle sin dall’inizio… Per qualcuno era ribellione, per altri segno di una personalità spiccata. A causa della mia vivacità (che adesso qualcuno bollerebbe come iperattività, come fanno con quei bambini che, invece di piazzarsi tutto il giorno davanti alla tivù e alla playstation, pretendono di sfogare le proprie energie all’aperto, correndo e giocando, e così vengono riempiti di calmanti…) i miei temevano che  non riuscissi a stare ferma in un banco… Mi misero alle Montessori. Lì c’era la maestra Giulia Bozzoni, una persona straordinaria, che applicava il metodo Montessori in modo molto individuale, mettendoci del suo. Era così brava che mi fece appassionare alla scuola, alla faccia di chi credeva che sarei sempre stata un’alunna svogliata e… poco produttiva. Poi è successo un altro fatto che ha dimostrato quanto i pregiudizi siano propri delle persone… intellettualmente poco attrezzate. Sì, una cosa bellissima. Verso la fine della prima elementare la maestra ci assegnò il compito di scrivere un pensiero usando la locuzione “a me…” e io scrissi: “A me piace il risotto con i funghi, ma non quelli avvelenati.” La maestra ne parlò a tutti per evidenziare l’originalità del pensiero di una bimba di neanche sette anni. Ma la direttrice della scuola la pensava diversamente e venne in classe per vedere dal vivo questa “aliena”. E mi fece scrivere qualche altro pensierino, forse per valutare il mio grado di… pericolosità. E fu così che scrissi “un’asino”. Sì, con l’apostrofo! Errore gravissimo, che autorizzò la direttrice a sentenziare: “Questa bambina non sa l’italiano”. I miei genitori vennero convocati a scuola e, per aiutare la bambina a… imparare l’italiano, furono costretti a mandarmi a “ripetizione”, cioè a lezione da una maestra. Fortuna volle che mi mandassero da una delle più anziane ma anche brave maestre di Desenzano, la maestra Crema. La quale mi sottopose una cinquantina di titoli di temi che avrei dovuto sviluppare nei tre mesi di lezione previsti. Il primo fu “Che cosa succede lassù? Perché tutti hanno il naso per aria?” E io descrissi le evoluzioni di un aeroplano durante una manifestazione di acrobazia aerea, usando descrizioni e termini che impressionarono la maestra. Il fatto era che leggevo tantissimo, e facevo tesoro di tutte le parole e i concetti che mi colpivano. La maestra Crema chiamò i miei genitori. Parlò loro di talento, che andava coltivato. Così propose di potermi seguire non solo per i tre mesi previsti, ma per tutto l’anno scolastico, per permettermi di coltivare le mie capacità. E così, mentre i miei compagni di classe svolgevano un tema a settimana, io mi ritrovavo a svolgerne tre o anche quattro (perché poi ci avevo preso gusto e andavo oltre il richiesto). È un episodio che mi piace ricordare, perché dimostra che anche quelle che sembrano negatività alla fine sono delle occasioni da cogliere, di cui fare tesoro. Come dire: quello che ti avevano imposto quasi come un castigo si è trasformato in una grande occasione, visti i risultati… Sì, e pensa che la mia maestra leggeva i miei temi in classe, come esempio di buona scrittura. Ciononostante, i miei compagni di classe non mi odiavano, anzi: avevano capito, perché la maestra ce l’aveva spiegato, che il talento è un dono che può capitare a chiunque, ed è come avere i capelli biondi o gli occhi azzurri, o essere bravi a cantare o a dipingere. Non bisognava invidiarmi, diceva, ma accettare questo mio dono e cercare di goderne tutti insieme. È ciò che anch’io ho sempre pensato: che saper scrivere non è un merito, e ancor meno dev’essere un vanto, ma è un dono che mi è stato dato ed è giusto, attraverso i miei libri, condividerlo con i miei lettori. Ma torniamo in tema: il tuo spirito indipendente come si manifestò, ancora? Anche alle medie conquistai la stima e devo dire l’affetto dei professori, con un misto di ribellione e rispetto: ad esempio non facevo misteri sul fatto che non mi piacesse la matematica e non mi piacesse studiare a memoria le poesie (che, infatti, non studiavo). Lo accettavano e, anzi, invece di mettermi in difficoltà cercavano di esaltare le mie capacità chiedendomi sempre di più nelle materie in cui sapevo esprimermi meglio. Eri molto amata dai professori. E al liceo? Sì, stravedevano per me. E quando passai al liceo continuarono a seguire la mia carriera scolastica. Al liceo… per quanto riguarda i compagni di classe, mentre loro facevano i “festini” dove si passavano noiosissimi pomeriggi a ballare, io andavo in giro con i miei amici a scorrazzare per Desenzano in sella al mio Ciao arancione. Poi… iniziarono i tempi della politica. Era di moda essere di sinistra, indire assemblee a ogni piè sospinto, dove i “cioè” e “la misura in cui” si sprecavano come il tempo sottratto allo studio. Si faceva sciopero per qualunque cretinata succedesse nel mondo. Mi ricordo che un giorno ci fu sciopero persino per la visita in Italia di Henry Kissinger… E tu? Io, indovina… stavo dall’altra parte. Anzi: da nessuna parte. Pur avendo le mie idee politiche, non volevo che la politica entrasse a scuola e dividesse gli amici come stava succedendo. Molti miei compagni di scuola, prima amici, per colpa della politica non si rivolgevano più nemmeno la parola. Invece di condividere, tutti insieme, l’esperienza di crescere in un momento di tensioni politiche cercando di starne fuori ma di capirci qualcosa, senza considerare nessuno di noi un avversario ma solo un amico con cui dialogare e … Leggi tutto Una voce fuori dal coro… biografia di un’indipendente a oltranza (giugno 2016)